Lula con Dilma Roussef durante la cerimonia di giuramento da ministro (foto LaPresse)

Evviva il Lula ad personam

Giuliano Ferrara
Nello scontro tra il potere elettivo e il potere castale dei vincitori di concorso in magistratura capita che si metta in campo ogni mezzo possibile contro una persecuzione sistematica. Lezione ai girotondi di un’icona mondiale di sinistra.

Lula ad personam. Lula ha giurato come ministro. La gente protesta. La gente impotente protesta sempre e i media sono la sua voce potente, coordinano la piazza con i bonzi di opposizione che la sfruttano. Ma Lula ha giurato. E’ un superministro del governo Rousseff, la donna che lui aveva messo a capo dell’azienda petrolifera di stato nei suoi anni di governo, e che poi gli era succeduta vincendo le elezioni alla presidenza. La sua amica e compañera presidenta, Dilma Rousseff, lo ha nominato membro influente del governo sottraendolo con un intervento ad personam alle cure di un certo dottor Sérgio Moro, magistrato che lo considera un ladro e un profittatore, e lo persegue a colpi di intercettazioni,  all’interno di uno scandalo che vale come cifra d’affari tutti gli scandali italiani degli ultimi vent’anni, la conduzione del gigante petrolifero pubblico Petrobras. “Ecco il decreto – gli ha detto Dilma al telefono, regolarmente intercettata dal Di Pietro do Brasil – lo useremo se necessario per evitare il tuo arresto”. Ora Lula, mitico ex presidente del Brasile, l’uomo e sindacalista del partito dei lavoratori, l’icona mondiale di sinistra che ha campeggiato per decenni come simbolo vivente della soavità e della serenità di una buona politica democratica, proprio lui, Lula da Silva, è un uomo di stato sottratto alla magistratura ordinaria che chiede una legge eguale per tutti, e sarà giudicato solo da una Corte suprema delegata a farlo nel sistema costituzionale brasiliano.

 

In Italia per vent’anni abbiamo chiacchierato in girotondo di conflitti di interessi e di giustizia ad personam e di uso delle istituzioni per fare scudo ai politici ladri. Ne sappiamo qualcosa. Masnade di profittatori politici mediatici ed elettorali hanno costruito su questa campagna anticasta le loro fortune, quattrini e potere. Gli inquisiti, le rogatorie, i trucchi, le elezioni in Parlamento, i voti contro gli arresti degli indagati: la giustizia ad personam. Era stato abolito in un anno di Terrore, il Novantatré (leggetevi il libro di Mattia Feltri che lo racconta per Marsilio in modo impeccabile), un articolo della Costituzione, voluto consapevolmente dai suoi padri, che non essendo stupidi sapevano del rischio di un suo abuso a favore di disonesti e corrotti ma insistettero chissà perché a votarlo, che diceva (articolo 68): i politici eletti possono essere indagati e processati solo con l’autorizzazione della Camera di appartenenza, cioè dei loro “pari” (come osservò una volta tra gli scandali pelosi Silvio Berlusconi). Così finì la divisione dei poteri. E fu incoraggiata definitivamente la tendenza a fare abusivamente politica di settori cruciali della magistratura che cercavano spazio alla loro idea di Repubblica virtuosa con le indagini, la detenzione preventiva, l’uso di pentiti, le intercettazioni, la conduzione di processi in carriera unica tra accusatori e giudici terzi, l’obbrobrio peggiore di qualunque corruzione, la corruzione del sistema costituzionale e di giustizia.

 

Fatta saltare la Repubblica dei partiti e della Costituzione, volevano far saltare anche quella, che per i loro disegni era venuta male, del bipolarismo e del maggioritario: doveva saltare chi, Berlusconi, aveva incarnato quella fase storica. Si fecero eleggere deputati, senatori, ministri, sindaci, misero insieme ridicole caricature di partito, furono schiaffeggiati spesso dall’opinione pubblica e dall’elettorato, ma non sono mai riusciti a demordere, decidevano delle riforme istituzionali, dichiaravano piduista e delinquente chiunque cercasse di percorrere strade che non erano le loro, prima colpirono i partiti democratici e moderati della storia italiana, poi cominciarono a colpire anche a sinistra, D‘Alema o Prodi, quando a sinistra non si rispondeva abbastanza in fretta agli ordini togati. Il partito dei giudici voleva comandare, in proprio o per delega ai suoi inservienti demagogici nei giornali e nelle aule parlamentari. L’unto della democrazia, Berlusconi (onction démocratique è un’espressione metaforica di François Mitterrand, sia detto per i buzzurri), oppose ogni mezzo possibile alla persecuzione sistematica, e ricorse alla fatale giustizia ad personam, che nello scontro tra il potere elettivo, democratico, e il potere castale dei vincitori di concorso in magistratura, fu qui considerato magari di cattivo gusto ma politicamente e storicamente del tutto legittimo. Ora c’è lo specchio di sinistra, planetario o mondiale, applicato ai compañeros brasiliani, ai rappresentanti dei lavoratori-elettori di Rio e di San Paolo, del conflitto politico e istituzionale tra un ceto togato e la classe politica eletta (ieri un giudice federale ha emesso una sentenza provvisoria che sospende la nomina dell’ex presidente). E qui facciamo un moderato tifo per Lula, così lontano dalla nostra idea di buongoverno, mentre a sinistra, incuranti delle repliche della storia alle loro ubbie e ai loro pregiudizi, si inizieranno, ci potete giurare, nuovi girotondi con le estrellas combatentes y guerreiras di sempre.

 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.