Vladimir Putin (foto LaPresse)

Lo zar e la guerra

Putin annuncia il ritiro delle truppe russe dalla Siria. Senza preavviso

Daniele Raineri
Da oggi inizia il ridimensionamento dell’impegno di Mosca. Il futuro di Assad e l’incontro con il re saudita.

Roma. Lunedì sera il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato il ritiro del grosso delle forze russe dalla Siria a partire da oggi, senza avvertire Washington, perché gli obiettivi dell’intervento “sono stati largamente raggiunti”. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, dice che Putin ha telefonato al presidente siriano Bashar el Assad per informarlo della decisione russa. Poco dopo il presidente siriano ha risposto con una nota in cui diceva di essere “d’accordo con il ritiro russo”, e di sperare nei colloqui di pace e nel “processo politico” in corso.

 

Il ritiro delle forze russe non sarà completo, perché la base navale di Tartous e quella dell’aviazione a Latakia resteranno operative, anche se questa definizione può voler dire tutto e niente. L’annuncio di Putin arriva a due settimane dall’inizio di un cessate il fuoco accettato dalla maggioranza delle parti che è stato violato centinaia di volte, ma che ha contribuito a una sostanziale diminuzione della violenza (s’intende: secondo gli standard della guerra civile siriana ormai arrivata al suo quinto anno, e sono assai diversi dal normale). Mosca parla di obbiettivi raggiunti e questo è un punto che è molto discusso in queste ore. Ha imposto all’Amministrazione americana la maggior parte delle sue condizioni e la scansione temporale degli eventi, come per esempio i colloqui di pace, e dal punto di vista militare ha messo in sicurezza il periclitante Assad, che non dispone più di un esercito regolare funzionante e deve affidarsi al contributo di una pletora di milizie irregolari rimpolpate da stranieri, soprattutto da Libano, Iran e Iraq.

 

In confronto a sei mesi fa, quando l’intervento russo è cominciato, il governo di Damasco può trattare da una posizione di assoluta sicurezza. Se invece si guarda all’obiettivo tanto sbandierato della guerra al terrorismo, è difficile sostenere che ci sia stato qualche progresso. Il 28 settembre il presidente russo aveva pronunciato al palazzo di Vetro delle Nazioni Unite un discorso molto duro sull’urgenza di intervenire a fianco di Assad contro lo Stato islamico. Considerato però che soltanto il dieci per cento delle operazioni militarti russe è stato diretto contro lo Stato islamico, non ci sono stati cambiamenti: il territorio in mano al gruppo estremista è rimasto quello di prima, al contrario di quanto nel frattempo sta succedendo in Iraq, dove perde terreno. Secondo il Washington Post, il numero delle operazioni militari dello Stato islamico nella zona di Aleppo è aumentato. La propaganda del gruppo non mancherà di farlo notare.

 

L’annuncio di ritiro così brusco potrebbe essere un messaggio di Putin per Assad. Nelle ultime settimane il presidente siriano ha contraddetto in più occasioni la linea politica decisa dai padrini di Mosca. Prima ha detto che conquisterà di nuovo tutta la Siria e che quella sarà la vittoria – legando così i partner di guerra al raggiungimento di un traguardo impegnativo e molto spostato nel tempo. Poi ha confermato le elezioni parlamentari del 13 aprile, che invece non dovrebbero tenersi secondo la stessa road map voluta dai russi – che le prevede in una seconda fase, più partecipata e pacifica. Infine, il ministro degli esteri siriano, Walid Moallem, ha detto che la permanenza di Assad al potere è la “linea rossa” che non può essere valicata, svuotando così di significato i colloqui di pace con l’opposizione che stanno cominciando in queste ore e che ruotano attorno al concetto che Assad potrebbe anche, prima o poi, lasciare il potere. A giorni si aspetta l’annuncio della visita del re saudita Salman – che rappresenta il lato opposto a Putin – a Mosca, e chissà che questo annuncio non faccia parte di un piano non ancora chiarito. I russi non sono contenti degli alleati in Siria, Iran e Hezbollah, e hanno appena bloccato la consegna degli strategici missili S-300 a Teheran.

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  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)