La cancelliera tedesca Angela Merkel (foto LaPresse)

La questione orientale di Merkel

Giovanni Boggero
Migranti, piazze e urne. Sussulti anti establishment in Germania. Da est. Le elezioni di domenica, il baco dell’unificazione, le élite che escludono. Parlano gli studiosi.

Heidelberg. Il massiccio afflusso di immigrati entro i confini dell’Unione europea è ormai diventato a tutti gli effetti un serio problema di politica estera per il governo di Berlino, impegnato in queste ore in un tentativo di dissuadere Slovenia e Croazia dall’adottare misure unilaterali che blocchino la cosiddetta “rotta balcanica”. Allo stesso tempo l’insofferenza popolare nei confronti di un fenomeno che appare fuori controllo è un grave problema di politica interna. Per i primi vent’anni dopo la riunificazione, la Repubblica federale è stata lambita soltanto marginalmente da proteste di massa e dall’affermazione di partiti populisti alla destra della Cdu/Csu. Anche in momenti difficili della sua storia, come quello della riconversione economica dell’apparato industriale dell’est o dell’accoglienza dei profughi dall’ex Jugoslavia nel corso degli anni 90, la critica all’establishment non è mai stata tanto veemente da rappresentare una minaccia per i partiti al potere. I Republikaner, una formazione politica ultra-nazionalista nata da una costola dei cristiano-sociali bavaresi, hanno imperversato per l’ultimo decennio del secolo scorso senza mai insidiare i partiti di governo. Anche l’Npd, il Partito nazional-democratico del quale si discute in questi mesi la messa al bando, nonostante il radicamento in diversi Länder orientali, non è mai stato capace di raccogliere un consenso sociale sufficientemente ampio da diventare una solida forza di opposizione. Negli ultimi due anni e mezzo, invece, le cose sembrano essere cambiate.

 

Prima l’euro-crisi e i sacrifici finanziari che la Repubblica federale avrebbe sopportato in misura eccessiva, ora l’immigrazione apparentemente incontrollata e fatti di cronaca come quelli di Colonia nella notte di Capodanno, hanno infatti catalizzato un diffuso malcontento tra la popolazione, trasformatosi in contestazione aperta e organizzata al governo federale e in particolare alla cancelliera Angela Merkel. Da un lato, il partito dell’Alternative für Deutschland (AfD), nato nel 2013, oggi rappresentato a Strasburgo e in diversi parlamenti regionali (Brandeburgo, Turingia e Sassonia), dall’altro un movimento nato su Facebook e battezzato nel 2014 sulla piazza centrale di Dresda con il nome di Pegida, acronimo che sta per Patriotische Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes, ossia europei patriottici contro l’islamizzazione dell’occidente. Pur trattandosi di creature alquanto diverse – una è un partito di opposizione, l’altra è un’associazione non-profit – entrambi i soggetti sono additati dalla stampa come movimenti razzisti e xenofobi. Mentre l’AfD ha sfondato nelle elezioni comunali di domenica scorsa in Assia, la regione di Francoforte, toccando punte del 19 per cento, e si prepara ora a fare il suo ingresso nei parlamenti del Baden-Württemberg (ovest), della Renania-Palatinato (ovest) e della Sassonia-Anhalt (est) domenica prossima, le riunioni di Pegida continuano a susseguirsi tra fiaccolate e bandiere nero-rosso-oro al grido di “Wir sind das Volk”, “Siamo il popolo”. Il motto non è nuovo, ma risale ai tempi della “rivoluzione pacifica” del 1989, quando migliaia di cittadini della Germania est scesero per le strade a protestare contro l’oppressione del regime comunista.

 

Ma chi sono gli elettori dell’AfD? E chi sono le persone che, periodicamente, scendono in piazza di fronte alla Frauenkirche di Dresda? Esistono legami tra i due soggetti? E come mai entrambi hanno attecchito più facilmente a est che a ovest del paese? Da un anno e mezzo, alcuni politologi e sociologi tedeschi si interrogano sul fenomeno. Xenofobia da un lato e arretratezza economica e disagio sociale dall’altro sono fattori che aiutano a contestualizzare le origini del movimento, ma che non ne spiegano del tutto le ragioni.

 

Diversi autori cercano di legare le turbolenze nell’est con il passato travagliato della Germania democratica e in particolare con la trasformazione della “nazione tedesca” dopo la “Wiedervereinigung”, la riunificazione del 1990. Werner Patzelt, professore della Technische Universität di Dresda, ha sottolineato il carattere elitario della riunificazione, che ha visto un ristretto gruppo di persone riorganizzare il sistema politico ed economico senza un reale coinvolgimento della popolazione e in particolare del ceto medio. Hans Vorländer, direttore dell’Istituto di scienza politica dell’Università di Dresda, conferma che “in questa città, a differenza di altre a est, è sopravvissuta dai tempi della Ddr una classe di cittadini per i quali tutto ciò che è nuovo e moderno è visto con scetticismo, con la paura di subire un esproprio culturale”. E’ in questo milieu ancora diffidente verso la classe politica della Germania ovest che si è sviluppata una certa vulgata populista, condivisa sia dagli aderenti a Pegida, sia dagli iscritti all’AfD. Il profilo del militante medio sembra in effetti molto simile: uomo, ultra 55enne, non appartenente ad alcuna confessione religiosa, con uno spiccato senso dell’ordine e della disciplina e un titolo di studio medio o basso. La vulgata anti establishment rispolvera il nazionalismo ottocentesco e novecentesco a forte impronta etnica (völkischer nationalismus), fondato sull’omogeneità del popolo, oggi minacciata dall’esterno e in particolare da musulmani, immigrati, ma anche dall’Unione europea e dalle grandi imprese straniere. Questo clima culturale può agevolare la radicalizzazione e creare un clima fertile a ripetuti attacchi contro gli immigrati. Cionondimeno, dice Vorländer al Foglio, bisogna evitare la facile equazione “Pegida=violenza=estrema destra”. Episodi di violenza contro i rifugiati si sono avuti anche in diversi Länder dell’ovest della Germania. Stando a un sondaggio realizzato nel 2014, il tasso di xenofobia registrato a Dresda non sarebbe superiore a quello di Düsseldorf in Renania. Un senso generale di insicurezza pervade insomma tutta la Bundesrepublik. Secondo Vorländer, che è coautore di un recente studio sul fenomeno, l’ondata di sdegno perbenista sollevatasi a ovest contro Pegida ha poi sortito l’effetto opposto, aiutando quest’ultima a emergere, a ottenere maggiore popolarità e a costruirsi sotto forma di rituale collettivo. D’altra parte, Pegida è diversa dagli altri movimenti che in tutto il paese protestano contro l’immigrazione incontrollata e ha una struttura composita, non in maggioranza di estrema destra. In assenza di corpi intermedi in grado di mediare tra popolo e politica, nell’ex Germania orientale Pegida è diventata la risposta ad ansie sociali di diverso tipo.

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