Rupert Murdoch (foto LaPresse)

Murdoch Style

Paola Peduzzi
Il tycoon innamorato non si farà sentire per 10 giorni (“o mai più”), ma ha un piano d’unità per il Gop. E’ meglio Ted Cruz rispetto a Donald Trump? S’alzano mugugni, e lui ha già risposto: no.

Milano. Per almeno una settimana non sentiremo parlare di Rupert Murdoch, o almeno così ha detto lui, via Twitter, definendosi “l’uomo più fortunato e più felice del mondo”. Il tycoon australiano proprietario di News Corp. si è sposato durante il fine settimana con Jerry Hall, ex signora Jagger, a Londra: ha organizzato due cerimonie, ha riunito le famiglie (anche le due piccole figlie della terza moglie, Wendi Deng, erano presenti, di azzurro vestite), ha festeggiato ed è infine partito raggiante per la luna di miele sul suo superyacht Vertigo, al largo del Messico. “Non ci saranno più tweet per dieci giorni o mai più”, ha scritto Murdoch, e molti giurano che manterrà la promessa: l’amore, si sa. Ma mentre l’anziano tycoon si gode l’inizio del suo quarto matrimonio, le primarie americane procedono, e Murdoch ha sempre avuto il vezzo – e il potere – di influenzare i corsi politici dei paesi in cui ha vissuto e in cui vengono pubblicati i suoi giornali.

 

Il rapporto tra Murdoch, o meglio la sua rete tv più influente Fox News, e le primarie per le presidenziali americane di novembre è stato fin da subito burrascoso. Mentre tutti si concentravano sulle conseguenze del disamore di Murdoch nei confronti della candidata democratica Hillary Clinton, il Partito repubblicano si ritrovava invischiato nella più surreale delle sue sfide interne, con conseguenti attacchi di panico. Ora che la corsa di Donald Trump appare inarrestabile, i repubblicani devono scegliere: combattere lo showman come un corpo estraneo da lasciare ai margini o accettare l’inevitabile, con la consapevolezza di chi sa che l’importante è scegliere un candidato in grado di sconfiggere un democratico al voto di novembre. Murdoch sta con la seconda squadra.

 

Quando la candidatura di Trump ha iniziato a consolidarsi, gli umori dentro ai media gestiti da News Corp. sono cambiati. Se all’inizio delle primarie Fox News e ancor più il Wall Street Journal erano accusati di condurre una campagna “viscida” (il termine è di Trump) studiata per smontare le ambizioni e il consenso di Trump, ora le fratture si stanno ricomponendo. Si è detto che Roger Ailes, spietato alter ego di Murdoch a Fox News, abbia capito che Marco Rubio, il prediletto, non ha più chance: “Non possiamo più fare la ‘Rubio thing’”, ha detto Ailes, mettendo i manager dell’emittente televisiva di fronte a una scelta. Dopo lo scontro frontale tra l’anchorwoman Megyn Kelly e lo stesso Trump – il quale non partecipò a un dibattito organizzato da Fox News a febbraio, ma la settimana scorsa il capriccio è rientrato – Ailes aveva difeso la sua giornalista e minacciato Trump, ma molti pensavano che una telefonata tra il candidato repubblicano e Murdoch avrebbe risolto molti dissapori (infatti Trump diceva: parlo solo con Rupert). Probabilmente questo contatto c’è stato e ora Murdoch dice che una lotta fratricida fino alla convention sarebbe suicida, “bisogna unirsi”, anche la pillola Trump può essere digeribile.

 

Non la pensano come lui molti altri grandi “big influencer” del Partito repubblicano, che invece dicono: fermi tutti. Nessuno si ritiri, procedete rosicchiando delegati qui e là, in modo che Trump non possa mai dichiararsi autonomamente “il nominato”. E’ una strategia rischiosa, perché i risultati di Trump si stanno rivelando più sorprendenti delle aspettative, e perché gli altri candidati rischiano di dissipare grandi risorse senza raggiungere l’obiettivo sperato. Oltre al dilemma c’è un’altra domanda che opprime il Gop: se l’alternativa a Trump sarà il senatore texano Ted Cruz, confluirà su di lui il cosiddetto voto dell’establishment? L’unico a rispondere è stato – indirettamente – Murdoch, che rivendendosi come unificatore del partito ha detto che ci sono alcuni candidati validi per battere Hillary, compreso Trump, ma ha “dimenticato” il nome di Cruz. Che è come dire: se proprio dobbiamo scegliere, allora meglio Trump.

 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi