Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan (foto LaPresse)

La deriva autoritaria di Erdogan spaventa l'Europa (e anche la Turchia)

Mariano Giustino
Con il commissariamento del gruppo editoriale Feza, proprietario di Zaman, il piu diffuso quotidiano della Turchia, resta davvero poco della stampa indipendente fuori dal controllo dell’Akp.

Ankara. Con il commissariamento del gruppo editoriale Feza, proprietario di Zaman, il piu diffuso quotidiano della Turchia, resta davvero poco della stampa indipendente fuori dal controllo del Partito della Giustizia e dello Sviluppo, l’Akp, fondato dal presidente della Repubblica turca Recep Tayyip Erdogan. E’ la seconda volta, in quattro mesi, che in Turchia un gruppo di media viene commissariato passando sotto il controllo di amministratori vicini al partito di governo. E’ già accaduto per il gruppo industriale Koza-Ipek, nell’ottobre del 2015, quando, a soli quattro giorni dalle elezioni politiche del 1° novembre, un tribunale di Ankara ordinò il sequestro di tutti i suoi media. Il presidente Erdogan e il suo governo “considerano tutte le voci di dissenso come organizzazioni criminali”, ha tuonato Kemal Kiliçdaroglu, leader del partito laico-socialdemocratico Chp. Intanto alcuni giornalisti di Zaman hanno subito rimediato all’assenza in edicola del loro quotidiano stampando alcune copie di un giornale online da loro redatto dal 2009. Si chiama Yarina Bakis, che significa “Guardiamo al domani”, con immagini e cronache di quanto di drammatico è accaduto a Istanbul nella notte tra sabato e domenica.

 

E forse, a partire da questa settimana, qualcosa di nuovo sta davvero nascendo. Da questo lunedì infatti è in edicola un giornale nuovo di zecca, chiamato Karar (in turco: “Decisione”). Si tratta di un nuovo quotidiano che, secondo fonti vicine all’ex presidente della Repubblica Abdullah Gül, potrebbe costituire un polo di attrazione per la nascita di un partito di opposizione alla politica di Erdogan. Da un po’ di giorni a Istanbul è possibile notare manifesti che lo pubblicizzano. Karar ha già un sito web attivo. Si tratta di un giornale pro Akp, ma non erdoganiano, vicino a due autorevoli fondatori del partito di Erdogan, e cioè all’ex presidente Gül e al ministro degli Esteri, Yasar Yakis. L’editore e i giornalisti di Karar sono veterani di lunga data di alcuni media pro Akp. Sono quelli che hanno sostenuto il partito sin dal suo esordio e nei momenti più critici. Ma sono anche quelli che negli ultimi 2-3 anni hanno suscitato le ire del presidente Erdogan. Si sa che non obbediscono agli ordini del grande leader e che si sono mostrati molto critici riguardo alle sue ambizioni. Hanno osato più volte criticarlo, seppur nel modo più blando e costruttivo possibile. Uno di essi è lo scrittore Hakan Albayrak, già direttore del quotidiano Dirilis Postasi. Dell’attuale presidente, Albayrak ha criticato quella che sembra essere diventata una deriva autoritaria; non ha assecondato l’ambizione del presidente a diventare l’“uomo solo al comando del paese”. Ciò ha portato alla perdita per il suo giornale di tutti gli introiti pubblicitari e, in poche settimane, Albayrak si è trovato senza lavoro. Il direttore di Karar è Mustafa Karaalioglu, già caporedattore del filogovernativo Daily Star. Secondo alcuni osservatori, Karar vuole rappresentare l’anima originaria dell’Akp, quella della “democrazia conservativa” e di espressione più liberal, più riformatrice, con nuove aperture per le minoranze; per la ripresa dei negoziati di pace con i curdi e per una politica estera più aperta all’Occidente e convintamente favorevole all’ingresso della Turchia nell’Unione europea.

 

Diverse voci di dissenso sorte all’interno dell’Akp, in questi ultimi tre anni, sono state messe a tacere e i media filogovernativi si sono trasformati in una macchina di propaganda aggressiva, apertamente minacciosa nei confronti degli oppositori politici. Secondo alcune fonti giornalistiche, Karar non sarà l’unico nuovo quotidiano ad uscire in edicola, ma ve ne saranno altri tre, molto vicini al primo ministro Davutoglu e non al presidente Erdogan.

 

Il passo successivo per i dissidenti, secondo le stesse fonti, dovrebbe essere la formazione di un partito politico al quale, se riuscisse ad avere una sede in almeno 41 province del paese, già durante questa legislatura potrebbero aderire alcuni deputati. In questo caso, l’Akp non avrebbe di certo i numeri per far approvare la riforma costituzionale in senso presidenziale tanto agognata da Erdogan.

 

Sono dinamiche comprensibili in quello che è sicuramente uno dei momenti più bui della recente storia del paese. L’Unione europea è stata duramente criticata dalle forze di opposizione turche che l’hanno accusata di privilegiare l’accordo sui migranti in cambio dell’indifferenza dinanzi alle violazioni dei diritti nel loro paese e di mantenere ancora i veti ai capitoli 23 e 24 sulle libertà fondamentali, di cruciale importanza, del negoziato di adesione. Ieri però è stato Erdogan, e non la Commissione europea, al tavolo del negoziato che si è svolto a Bruxelles, a rilanciare ancora con le richieste: per gestire l’emergenza rifugiati, Ankara ha chiesto infatti 3 miliardi di euro in più da qui al 2018.

 

 

Mariano Giustino è Direttore della rivista “Diritto e Libertà”