Evo Morales mentre vota al referendum di domenica (foto LaPresse)

La Bolivia inizia a pensare al dopo Morales

Maurizio Stefanini
Il referendum che avrebbe permesso al presidente boliviano di ricandidarsi alla presidenza una quarta volta dovrebbe essere stato perso dal partito di maggioranza.
Evo Morales dovrebbe aver perso il referendum di modifica dell’articolo 168 che gli avrebbe permesso di ricandidarsi alla presidenza della Bolivia una quarta volta (e poi ancora indefinitamente). Il condizionale è d’obbligo, perché il governo non riconosce ancora la sconfitta, e il vicepresidente Álvaro García Linera in conferenza stampa ha definito “pareggio tecnico” i primi dati con l’indicazione della vittoria del no.

 

 

Secondo le primissime cifre ufficiali, relative a 563.851 schede su 6,5 milioni di aventi diritto in un sistema a voto obbligatorio, i no erano addirittura il 67,34 per cento, contro il 32,66 per cento di sì. Ma gli exit poll non ufficiali delle principali reti tv davano per il no margini minori. 52,3 per cento contro 47,7 con un margine di errore del 2 per cento secondo il report che Ipsos ha fatto per la rete Atb; 51 per cento contro 49 con un margine del 3 per cento secondo la Mori per la rete Unitel.

 

“Forzata” e “prematura” è stata dunque definita dal vicepresidente la festa che l’opposizione aveva già iniziato. “Le inchieste si avvicinano alla verità”, ha spiegato, “ma hanno un margine di errore di due e o tre punti, e non tengono conto né del voto all’estero, né dei quartieri e comunità isolate, dove il Movimento a Socialismo”, il partito di Morales (Mas), “ha sempre avuto un punteggio maggiore”. Insomma, la sua previsione e auspicio è che entro poche ore la festa degli oppositori potrebbe trasformarsi in “pianto generalizzato”. 

 

Il fatto però che sia stato lui a mettere la faccia nel primo commento e non il presidente, già indica che in realtà l’ipotesi di un recupero in extremis è considerata improbabile dagli stessi ambienti governativi. “La Bolivia ha detto no!”, ha commentato euforico il governatore del dipartimento di Santa Cruz Rubén Costas, esponente di punta dell’opposizione. “Abbiamo recuperato la democrazia e abbiamo il recuperato il diritto di scegliere”, ha detto in conferenza stampa l’ex-candidato presidenziale Samuel Doria Medina, sconfitto da Morales in due occasioni. “Oggi è stato sepolto il progetto di trasformare il nostro Paese nel progetto di un solo partito. Questa è la vittoria del popolo”.

 

Apparentemente, la sconfitta di Morales si inserisce in quel più generale processo di crisi della sinistra latino-americana di governo che ha già visto il 22 dicembre Mauricio Macri essere eletto presidente dell’Argentina, il 6 dicembre Dilma Rousseff finire sotto impeachment in Brasile e il 6 dicembre l’opposizione vincere un’ampia maggioranza alle politiche in Venezuela. Ma mentre Argentina, Brasile e Venezuela sono colpite da inflazione e recessione, e il Venezuela anche da una spaventosa penuria dei beni, in Bolivia l’economia va invece piuttosto bene. Più 4,8 per cento di crescita del Pil nel 2015; più 3,5 per cento atteso per il 2016; riduzione della povertà estrema dal 38,3 al 17,8 per cento; inflazione ad appena il 2,95 per cento. Nell’opposizione c’è chi contesta questa cifre. Una deputata del Partito Democratico Cristiano, Norma Piérola parla esplicitamente di “cifre false”: “Ogni giorno cadono sempre di più i prezzi del petrolio e dei minerali. Inoltre, non tengono in conto un fattore di crescita: l’esportazione. Cosa esporta la Bolivia? Solo narcotraffico e droghe”. Questo dati positivi sono però attestati da Fmi e Onu, e il ministro dell’Economia Luis Alberto Arce Catacora è lodato anche dal Wall Street Journal.

 

[**Video_box_2**]Dopo la trionfale rielezione ottenuta il 12 ottobre del 2014 con il 60,5 per cento dei voti, già alle amministrative di aprile il suo Mas aveva iniziato ad arretrare. Rimanendo sì il primo partito, ma perdendo i dipartimenti di La Paz e Tarija e municipalità importanti come Cochabamba e soprattutto la storica roccaforte di El Alto, malgrado il recente grandioso investimento infrastrutturale fatto per collegarla a La Paz con una spettacolare teleferica. E la stessa municipalità di La Paz era restata in mano all’opposizione. Anche i sondaggi sulla riforma costituzionale erano partiti nel 2015 con un 70 per cento di sì, per poi rapidamente attestarsi su un vantaggio del no. Con un’aggressiva campagna elettorale che aveva perfino clonato l’ultimo Stat Wars, Morales aveva in parte recuperato. Ma proprio in prossimità del voto è saltata fuori la storia di Gabriela Zapata Montaño: la 28enne imprenditrice con cui Evo Morales ha avuto un figlio, e che è risultata essere la gerente di una società cinese cui sono stati dati appalti pubblici per 560 milioni di dollari. A parte questo scandalo, quattro giorni prima del voto c’è stato il grave episodio di una protesta di militanti del Mas contro l’amministrazione di El Alto: storica roccaforte di Morales che però come si è già detto lo scorso aprile era stata conquistata dall’opposizione. L’edificio della municipalità è stato dato alle fiamme, ci sono stati 6 morti e 29 feriti, e le indagini hanno rivelato che la protesta era stata organizzata da dirigenti del Mas accusati di corruzione. Un altro brutto episodio c’è stato il giorno stesso del voto a Santa Cruz, dove alcuni cittadini hanno dato fuoco a schede elettorali. Dapprima si è parlato di esasperazione per un ritardo nell’apertura dei seggi, ma poi è saltato fuori che le schede erano state già segnate come votate per il sì.

 

Evo Morales resta comunque presidente fino al 2020. Ma sorge il problema di trovare un suo erede, in un contesto dove già la differenza tra il voto politico e presidenziale del 2014 e quello amministrativo del 2015 dimostra la debolezza del Mas quando il suo leader non è direttamente in campo. “Il Mas nasce e sarà seppellito con Evo Morales”, prevede Norma Piérola.

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