Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan (foto LaPresse)

Tra Erdogan e Putin

David Carretta
L’Europa in stato confusionale è schiacciata tra il sultano e lo zar e non trova una strategia sulla Siria – di David Carretta

Bruxelles. Incastrati tra la Turchia e la Russia, tra la crisi dei rifugiati e il conflitto tra un sultano e uno zar, i leader dell’Unione europea sono incapaci di trovare una strategia comune per affrontare la guerra in Siria. Oggi i capi di stato e di governo, per la prima volta in sei mesi, discuteranno in modo approfondito del conflitto siriano e delle ripercussioni sulle molteplici crisi europee. C’è fretta, nel momento in cui l’afflusso di migranti e rifugiati mette in pericolo la libera circolazione senza frontiere di Schengen e, più in generale, il progetto di integrazione europea. “Una cessazione delle ostilità deve essere attuata urgentemente” salvo per i gruppi “designati come organizzazioni terroristiche dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”, dice la bozza di conclusioni del vertice dell’Ue. I leader europei dovrebbero chiedere alla “Russia e al regime siriano di fermare immediatamente gli attacchi contro i gruppi dell’opposizione moderata, che minacciano le prospettive di pace, avvantaggiano lo Stato islamico e pilotano la crisi dei rifugiati”. Più o meno come la pensa il senatore americano, John McCain, che nel fine settimana a Monaco aveva accusato Vladimir Putin di “esacerbare la crisi dei rifugiati e usarla come arma per danneggiare il progetto europeo”. Ma contrariamente al soldato McCain, gli europei non sono pronti a inviare “boots on the ground” in Siria. E nemmeno gli aerei per imporre quella no-fly zone che la cancelliera tedesca, Angela Merkel, questa settimana ha rilanciato anche – e forse soprattutto – per convincere la Turchia a bloccare le partenze di rifugiati verso la Grecia. “I bombardamenti russi in Siria sono una questione di grande preoccupazione, tanto più che provocano un nuovo esodo di rifugiati da Aleppo e dintorni” che si dirigeranno verso l’Europa, spiega al Foglio un responsabile europeo. Ma il vertice dell’Ue “non è un incontro della Nato”.

 

Con una di quelle giravolte per cui è diventata famosa, Merkel ha scelto da che parte stare: la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, che la cancelliera considera essenziale per arginare il flusso di migranti verso l’Ue. Il 29 settembre 2015, quando sembrava diventata la leader morale (oltre che politica) d’Europa per la porta aperta ai siriani, Merkel aveva bocciato l’idea turca di una zona sicura nel nord della Siria perché sarebbe potuta diventare “peggio di Srebrenica”. Oggi, confrontata a un inedito isolamento a livello europeo, la cancelliera è pronta a sostenere la “safe zone”. Lunedì ha parlato di una “no-fly zone”. Mercoledì lo ha ribadito più solennemente davanti al Bundestag, anche se con una serie di paletti: “Se potesse esserci un accordo tra la coalizione anti Assad e i sostenitori di Assad su una sorta di no-fly zone con l’obiettivo di creare un’area protetta per molti rifugiati, questo salverebbe molte vite umane”. Ma non solo Mosca e Damasco hanno subito respinto la proposta. Anche gli alleati europei di Merkel sulla questione turca sono prudenti. La no-fly zone “è uno degli strumenti che si possono contemplare, ma è molto difficile da realizzare”, ha detto il premier olandese, Mark Rutte. “Ci vuole una risoluzione del Consiglio di sicurezza” e non è “un piano che porterà frutti in un paio di settimane”.

 

[**Video_box_2**]Italia e Francia stanno sull’altra sponda, con la speranza inconfessata che Putin risolva in fretta il problema siriano. Il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, dopo l’attentato di Ankara di mercoledì ha ribadito la “vicinanza alla Turchia”, ma ha avvertito che non bisogna “scommettere su una soluzione militare”. A Parigi, dove la partenza di Laurent Fabius dal Quai d’Orsay ha sancito definitivamente l’appeasement nei confronti di Assad, Jean-Marc Ayrault ha ricevuto una telefonata di protesta del suo omologo turco, Mevlüt Cavusoglu, per le critiche della Francia ai bombardamenti attorno alla città di Azaz contro i curdi siriani delle Unità di protezione del popolo (Ypg). Il governo di Erdogan ha già fatto sapere che continuerà gli attacchi contro i curdi in Siria. Tanto più che ha attribuito la responsabilità dell’attentato all’Ypg, malgrado la smentita dei curdi del Partito dell’Unione democratica. Giovedì, altri sette soldati turchi sono stati uccisi in un attacco nella provincia di Diyarbakir, nel sud-est curdo della Turchia, attribuito al Pkk. In stato confusionale, l’Ue non sa se condannare Ankara o corteggiarla per risolvere la crisi dei rifugiati, mentre si illude che la Russia voglia rispettare la parola data sulla tregua siriana che dovrebbe entrare in vigore oggi. “Sappiamo tutti che la via d’uscita in Siria è lavorare alla cessazione delle ostilità”, ha detto l’Alto rappresentante Federica Mogherini.