Due F-35 in volo

F-35 e nuovi bombardieri, la guerra per i finanziamenti in corso al Pentagono

Eugenio Cau
Obama ha inviato al Congresso il Budget federale che prevede una spesa quadruplicata per l’Europa orientale. Oggi e domani riunione dei ministri degli Esteri Nato

Roma. Il sito americano Defense One l’ha chiamata un “dogfight”. Due dei più grandi progetti militari dell’occidente, operazioni da decine e forse centinaia di miliardi di dollari, pronti a litigarsi tra loro la fetta più grossa di quel budget militare americano che visto da fuori sembra infinito, ma che corre il rischio di mostrarsi inadeguato a fare fronte al crescere delle minacce. I due progetti sono il caccia di quinta generazione F-35, pietra miliare del futuro della difesa dell’area Nato piagato da dubbi tecnici e da un ammontare della spesa in continua crescita, e il nuovo Long Range Strike-Bomber (Lrs-b), bombardiere a lungo raggio che per anni è stato progettato in gran segreto nella famigerata Area 51 e che dovrebbe diventare una specie di fortezza aerea con funzioni anche di spionaggio.

 

La concorrenza tra i due non è di tipo militare (i velivoli sono dal punto di vista dell’uso in battaglia complementari l’uno con l’altro) ma finanziario. La flotta aerea americana ha bisogno di un imponente rinnovamento, e i militari rispondono all’esigenza prevedendo per i prossimi anni il più grande piano d’acquisto di velivoli dai tempi di Reagan (che include un terzo grande progetto, quello dei nuovi aerei per il rifornimento in volo Kc-46). Il problema però è che, al contrario di quanto avveniva con Reagan, la spesa militare non aumenta di conseguenza – e anzi è bloccata fino al 2021. I commensali sono diventati troppi davanti a una torta sempre più piccola. Si aggiunga il fatto che i vari progetti sono realizzati da contractor diversi (l’F-35 da Lockheed Martin, il Lrs-b da Northrop Grumman, il Kc-46 da Boeing) e si capisce perché un esperto ha detto a Defense One che siamo davanti alla “tempesta perfetta” della modernizzazione aeronautica. “La flotta dell’airforce americana è stata mantenuta in vita aumentando il ciclo di utilizzo dei velivoli il più a lungo possibile e adesso il Pentagono paga il fatto che deve modernizzare su tre fronti contemporaneamente”, dice al Foglio Alessandro Marrone, senior fellow al programma Sicurezza e Difesa dell’Istituto Affari Internazionali. “Il Pentagono non è nuovo alla pratica di tenere più fornitori attivi su programmi di lungo periodo per aumentare la concorrenza interna”, ricorda Marrone. Il problema è se sul lungo periodo lo sforzo possa rivelarsi eccessivo e qualche programma essenziale rischi di essere sacrificato a scapito degli altri.

 

[**Video_box_2**]Non che non ci sia una risposta alle minacce: ieri il presidente Obama ha inviato al Congresso il suo Budget federale da 4 milioni di miliardi di dollari per l’anno fiscale 2017, un piano a lungo anticipato che prevede, tra le altre cose, una spesa quadruplicata sul fronte dell’Europa orientale. Il Pentagono intende inviare sul fronte est della Nato armi pesanti e veicoli corazzati fino a fornire la potenza di fuoco di circa due brigate, con una spesa complessiva di 3,4 miliardi di dollari e l’intento di contrastare soprattutto la minaccia proveniente dalla Russia. Ma mentre molti possibili avversari, da Mosca alla Cina alla Repubblica islamica d’Iran, mostrano una rinnovata assertività militare, la risposta occidentale sembra farraginosa. Oggi e domani i ministri degli Esteri della Nato si incontrano a Bruxelles per rafforzare “la loro difesa e la loro capacità di deterrenza” soprattutto sul fronte est, ma soltanto pochi giorni fa uno studio allarmante della Rand Corporation ha calcolato che in caso di improvvisa incursione russa nel territorio dell’Alleanza atlantica le tre repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania cadrebbero in appena 60 ore. E’ il risultato di due decenni di demilitarizzazione dell’Europa: “Dagli anni 80 al 2014 gli Stati Uniti hanno ridotto la loro presenza militare sul continente da 250-300 mila unità a circa 27 mila unità, un taglio del 90 per cento”, ricorda Marrone. Così la coperta rischia di essere sempre troppo corta. Per questo la decisione americana di quadruplicare gli sforzi sul confine est è significativa. “Oggi il meccanismo della deterrenza non si basa più su un equilibrio numerico di truppe ed equipaggiamenti schierati come accadeva durante la Guerra fredda, e ciò che è importante è mettere in chiaro che qualsiasi colpo di mano russo avrebbe un costo politico insostenibile per Mosca”, dice Marrone. Può funzionare, “a patto però che le misure di deterrenza siano messe in atto con continuità e fermezza”– non esattamente le migliori qualità dell’occidente negli ultimi tempi. Lunedì, intanto, la Russia ha ordinato esercitazioni militari a sorpresa ai suoi confini meridionali.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.