Militari italiani in Iraq (foto LaPresse)

Cosa fanno i soldati italiani a Ramadi

Daniele Raineri
Il governo italiano non ha mai dichiarato la presenza di militari nell'Anbar iracheno. Ma il Pentagono conferma.

Tel Aviv. Il Pentagono si lascia sfuggire la conferma della presenza di soldati italiani impegnati nella zona di Ramadi, in Iraq – come consiglieri e assistenti militari, ma non in ruoli di combattimento – per appoggiare le truppe irachene che fanno la guerra allo Stato islamico in una delle zone più violente del paese. Un ufficio stampa della Difesa americana ha descritto per la prima volta l’esistenza di una task force a guida americana chiamata Task Force Taqaddum (TFTQ), dal nome della base aerea militare di al Taqaddum, tra le città di Falluja e Ramadi, e cita la presenza di militari italiani e australiani. La fonte ufficiale non dice altro, non specifica chi sono e quanti sono e dedica quasi tutto lo spazio alle unità americane – che provengono in gran parte dalle file dei marine. Secondo un’informazione pubblicata nel Foglio il 27 giugno scorso, trenta operatori delle forze speciali italiane – appartenenti al reggimento d’assalto “Col Moschin” di stanza a Livorno –  avevano appena ritirato un passaporto diplomatico al ministero degli Esteri a Roma ed erano in procinto di partire per la base di Taqaddum in Iraq. Si nota anche una coincidenza temporale. Il 10 giugno il presidente americano, Barack Obama, aveva annunciato l’aumento delle truppe americane nella regione dell’Anbar per aiutare le truppe irachene L’articolo pubblicato dal Pentagono sostiene ora che il primo gruppo di consiglieri militari americani era arrivato nella base irachena per aprire la strada agli altri subito dopo quel discorso del presidente. Gli incursori italiani sono atterrati all’aeroporto di Baghdad tre settimane dopo (Erbil e Baghdad sono i due aeroporti usati dalle forze italiane impegnate in Iraq. Dalla capitale irachena  è possibile che ci sia stato un trasferimento via elicottero verso Taqaddum nel cuore dell’Anbar, circa 75 chilometri a ovest). Considerato che sono passati sette mesi, è probabile che ci sia già stata una rotazione e altri operatori abbiano preso il posto dei primi. Il governo italiano non ha mai dichiarato la presenza di militari nell’Anbar – ufficialmente non ci sono – e parla soltanto di “addestramento”, che dal punto di vista tecnico è differente da quello che fanno i consiglieri militari della TFTQ.

 

La Task Force Taqaddum non è impegnata in modo diretto nei combattimenti e fa da appoggio al cosiddetto AOC, Anbar Operations Command, lo staff di ufficiali iracheni che dirige le operazioni contro lo Stato islamico a Ramadi e nella regione dell’Anbar. Si tratta, assieme a Mosul, della zona dove il gruppo estremista è più forte, anche per ragioni storiche (la nascita dello Stato islamico fu annunciata proprio a Ramadi nell’ottobre 2006). A maggio i guerriglieri di Abu Bakr al Baghdadi hanno spazzato via le linee di difesa dell’esercito iracheno attorno e dentro la città, come l’anno prima a Mosul, e hanno messo in fuga i soldati del governo – fu un attacco ben organizzato, indossarono uniformi irachene per confondere le idee e si fecero precedere da dieci camion bomba guidati da attentatori suicidi. La caduta di Ramadi mandò all’aria tutti i piani di guerra scritti fino ad allora contro lo Stato islamico dall’Iraq e dalla coalizione internazionale, che fino a quel giorno si erano concentrati sulle operazioni per riprendere Mosul.

 

[**Video_box_2**]Il compito della Task Force Taqaddum è dare agli iracheni la sicurezza di non essere soli e impedire altri cedimenti rovinosi – come spiegano i soldati americani intervistati dalla Difesa. La Task Force aiuta a dirigere i bombardamenti frequenti nell’area di Ramadi (da notare che in agosto due jet australiani hanno eliminato un mortaio dello Stato islamico che sparava contro Taqaddum: forse guidati dai soldati australiani all’interno?), corregge i piani degli attacchi, vive e dorme con gli iracheni dentro il comando, provvede addestramento e assistenza medica ai feriti. In particolare, passa agli iracheni un flusso continuo di informazioni che arriva grazie alle missioni aeree di sorveglianza. L’Italia ha scelto di non partecipare ai bombardamenti ma ha spostato in Kuwait alcuni droni Predator e jet Tornado che raccolgono intelligence sulle posizioni dello Stato islamico in Iraq, e chissà che non sia questo un collegamento con gli uomini dentro Taqaddum.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)