Bernie Sanders (foto LaPresse)

Rivoluzione di febbraio

Sanders, il candidato che odia i ricchi, ha un segreto per vincere: i soldi

Dopo la vittoria mutilata di Hillary Clinton in Iowa e prima del cruciale voto del New Hampshire, dove il vento dei sondaggi tira a sinistra, i candidati democratici si sono lanciati in quello che l’editorialista E. J. Dionne chiama, in modo sofisticato, una gara fra “teorie competitive del cambiamento”.

New York. Dopo la vittoria mutilata di Hillary Clinton in Iowa e prima del cruciale voto del New Hampshire, dove il vento dei sondaggi tira a sinistra, i candidati democratici si sono lanciati in quello che l’editorialista E. J. Dionne chiama, in modo sofisticato, una gara fra “teorie competitive del cambiamento”. Per raggiungere obiettivi che a guardar bene non sono nemmeno troppo dissimili, Hillary espone prudentemente le tesi della scuola incrementalista, Bernie Sanders con il pugno alzato abbraccia quella rivoluzionaria, spiega Dionne, e questa discrepanza è un segno di portata storica.

 

A livello del terreno elettorale, questa altissima disputa sul senso della sinistra nella contemporaneità precipita in un fangoso corpo a corpo per affermare la propria purezza ideologica di fronte all’elettorato inquieto. Il tweet con cui Bernie ha pungolato Hillary l’altro giorno è già entrato nel lessico della giovane tifoseria sandersiana: “Puoi essere moderato. Puoi essere progressista. Ma non puoi essere moderato e progressista”. Hillary ha scaltramente risposto spostando l’attenzione dal litigio attorno all’etichetta politica ai risultati “real” che ha ottenuto e che promette per il futuro, ché il problema supremo di Bernie è convincere l’America che la sua visione non è soltanto un irrealizzabile sogno scandinavo o un velleitario cinguettìo contro Wall Street. Alla vigilia dell’Iowa l’editorial board del Washington Post lo aveva castigato con solerzia definendolo “un politico che vende il suo brand fatto di finzione a una fetta del paese che non vede l’ora di comprarlo”. Il Committee for a Responsible Federal Budget, commissione bipartisan, dice che nella sua riforma per la copertura sanitaria universale mancano tremila miliardi di dollari nei prossimi dieci anni, che in effetti sono un bel pezzo di realtà.

 

Le falle nel piano di fattibilità del Sanders-pensiero sono emerse anche nel dibattito in stile townhall di mercoledì sera, dove Hillary per un’ora ha fatto con autorevolezza la parte della democratica esperta e responsabile, rivendicando pure il suo pieno diritto di cittadinanza nella nazione progressista. E’ caduta malamente soltanto quando Anderson Cooper le ha chiesto conto dei 675 mila dollari che ha preso da Goldman Sachs per tenere discorsi, e lei si è schermita: “That’s what they offered”. Non è il tipo di risposta che convince il democratico indeciso tendenza progressista. Scivoloni a parte, l’idea diffusa nel team Clinton è che Bernie è archiviabile con una semplice virata a sinistra, e pure nella sinistra antisistema c’è chi è convinto che costringere la candidata dell’establishment ad abbracciare un’agenda più progressista sia un compimento onorevole della candidatura del senatore.

 

Quando si propone questo schema a Jonathan Tasini, non la prende bene: “Non sono mai stato d’accordo con questa impostazione, e lo sono ancora meno adesso. Bernie non sta facendo una campagna di testimonianza, il suo scopo non è fare pressione o spostare il dibattito. Lo scopo è vincere, punto”. Tasini è l’intellettuale organico di Bernie. Teorico, stratega, consigliere, sindacalista, ariete di audaci class action, compagno di mille battaglie (perse) contro il sistema e attivista con le maniche arrotolate – nell’orizzonte del socialista del Vermont teoria e prassi sono indistinguibili – Tasini ha scritto il libretto rosso di Bernie, un centone che la tifoseria compulsa alla ricerca di parole di saggezza su qualunque argomento. In quelle pagine è stata fissata la massima “if a bank is too big  to fail, it is too big to exist”. Se occorre chiarire l’impatto negativo del cambiamenti climatici sul mercato del lavoro passando per l’immigrazione, il libro lo spiega in poche righe, facilmente ripetibili al prossimo caucus. Titolo: “The Essential Bernie Sanders”.

 

Al Foglio Tasini spiega che “non si può annacquare lo spirito rivoluzionario di Sanders, non ci accontentiamo di dare una spintarella a sinistra a Hillary. Quello che molti non capiscono è che Bernie non ragiona così, usa altre categorie”. La sconfitta con la monetina dell’Iowa è stato, dice, “un risultato straordinario”, perché “quattro mesi fa nessuno sapeva chi era Bernie, mentre Hillary è in campagna elettorale da quindici anni. Come credi che la giudichino i consiglieri di Hillary? Una vittoria? Se così fosse non sarebbero nel panico”. Le frasi precotte sull’entusiasmo e la capacità di mobilitazione sono nel canovaccio dello spin-doctor antisistema da sempre, ma Tasini pensa che ci sia una grossa differenza rispetto ad analoghe battaglie del passato: “In una parola: i soldi. Ho fatto tante campagne di questo genere, ho visto candidati capaci che cavalcavano argomenti persuasivi, ma non avevano mai i soldi. Bernie li ha. Ha la struttura per portare avanti la sua rivoluzione, e ormai anche il ‘name recognition’ non è più un problema. E attenzione: tutti i dati ci dicono che le proposte di Bernie, dalla sanità pubblica alla riforma di Wall Street, sono già le più popolari presso i democratici. Non si tratta di cambiare le opinioni della gente, ma di mobilitarla”.

 

Il conto aperto con l’establishment

 

[**Video_box_2**]Tasini ha un conto aperto con Hillary. Nel 2006 ha lanciato una disperata candidatura alle primarie contro di lei per la rielezione al Senato. La cosa che lo ha amareggiato non è tanto di aver perso prima ancora di cominciare (lei ha preso l’83 per cento dei voti), ma che Hillary si sia rifiutata di fare un dibattito con lui, che pure aveva firme e carte in regola. Un gesto “incredibilmente antidemocratico”, ha detto qualche tempo fa al New York Times.

 

Bernie sta mettendo sotto pressione una certa sufficienza clintoniana, ma la vera leva vantaggiosa è l’“autenticità”, la parola più usata e forse abusata nella sua campagna: “I giovani – dice Tasini – non hanno esperienza diretta del governo della famiglia Clinton, molti di loro giocavano a nascondino quando Bill è stato eletto la prima volta. Quindi si fanno un’idea in base a quello che vedono ora, non a venticinque anni fa. E quello che vedono ora è costruito, finto, politicista, è espressione di una macchina di potere. Bernie, invece, è soltanto Bernie. E’ sempre stato un personaggio autentico, ma questa volta ha i mezzi per stare in corsa ancora a lungo”.