Forze di sicurezza israeliane a Gerusalemme (foto LaPresse)

Sono gli uomini di Abu Mazen a combattere la Terza Intifada

Luca Gambardella
Nuovi attacchi sferrati da membri delle forze di sicurezza palestinesi di Ramallah. La condanna di Netanyahu e lo scoop del Foglio

Roma. Domenica scorsa un membro delle forze di sicurezza dell’Autorità palestinese ha ferito gravemente tre militari israeliani al posto di blocco di Beit El, all’ingresso della West Bank. L’assalitore ha fermato la sua vettura al check point e alla richiesta delle guardie di mostrare il suo documento di identità ha impugnato la pistola e ha aperto il fuoco contro i militari. L’attentatore, che è stato ucciso, si chiamava Amjad Sakari, aveva 35 anni, ed era anche una guardia del corpo del procuratore di Ramallah. E’ il terzo attacco in meno di una settimana: il giorno precedente un ragazzo con doppia nazionalità israeliana e americana era stato accoltellato a Gerusalemme; stessa sorte toccata a un altro israeliano, aggredito a nord della città quattro giorni prima. Gli agguati contro gli ebrei si succedono da mesi ma soltanto ieri, dopo l’attacco di Beit El, le autorità israeliane hanno deciso per la prima volta dall’inizio della Terza Intifada di chiudere gli accessi alla città di Ramallah. Un portavoce dell’esercito ha annunciato che “soltanto i residenti della città potranno entrare e uscire” e che la decisione è stata presa “per motivi di sicurezza”. Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha accusato il presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, di non avere condannato l’accaduto: “L’attacco è stato compiuto da un suo uomo, che percepiva uno stipendio dall’Autorità palestinese e che è responsabile di aver fomentato il terrorismo contro Israele. Chiedo alla comunità internazionale di fermare questa ipocrisia”, ha aggiunto Netanyahu.

 

L’attacco al varco di Beit El è soltanto l’ultimo di una serie in cui gli assalitori erano membri delle forze di sicurezza palestinesi. Prima di agire, Sakari aveva scritto su Facebook alcuni post, ripresi dal quotidiano Times of Israel, che lasciavano presagire le sue intenzioni. “A questo mondo ci sono delle cose che rendono la vita degna di essere vissuta”, ha scritto appena due ore prima dell’attacco. “Eppure, sfortunatamente, non serve a niente vivere sotto questa occupazione che ci soffoca e che uccide i nostri fratelli e le nostre sorelle. Allah, ti prego, abbi pietà dei nostri martiri, guarisci i nostri feriti e spezza le catene dei nostri prigionieri. Voi siete stati i primi e ora, a Dio piacendo, noi saremo i prossimi”. E infine: “Buongiorno, diventerò uno shahid (martire, ndr) e mi unirò ad Allah e al suo messaggero Mohammed. Questa è una mattina di vittoria”.

 

[**Video_box_2**]A gennaio un’esclusiva del Foglio aveva raccontato come dietro ad alcuni degli agguati contro gli israeliani ci fossero dei membri della Guardia presidenziale di Abu Mazen, il corpo d’élite che ha l’incarico di assicurare l’incolumità del presidente palestinese. Tra questi c’è anche Husam Nabil Adwan che, dalla sua pagina Facebook, ha alimentato per mesi la propaganda dell’Intifada dei coltelli. Oltra ad Adwan, la settimana scorsa l’esercito israeliano aveva identificato un altro agente dei servizi segreti palestinesi, Ala’a Barkawi, accusato di aver collaborato con una cellula terroristica della Samaria a un attacco in cui due militari israeliani erano rimasti feriti. E ancora, lo scorso dicembre un altro agente dell’intelligence palestinese, Mazen Hassan Orebeih, aveva ferito due militari israeliani presso il valico di Hizme, a nord di Gerusalemme. Una serie di episodi che conferma le ricostruzioni delle forze di sicurezza israeliane, secondo cui molti delle aggressioni non derivano da una semplice ondata di violenza spontanea e senza controllo, bensì da uomini appartenenti ai quadri delle forze di sicurezza palestinesi, ben addestrati e che agiscono con il chiaro intento di uccidere. Secondo alcuni membri dell’esercito israeliano sentiti dal quotidiano in lingua ebraica Israel Hayoum, gli attacchi delle ultime settimane, e in particolare quelli compiuti  in Giudea e Samaria, sono stati pianificati e realizzati con tecniche di “maggiore qualità”. E nel breve termine non si prevede una loro diminuzione.

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.