David Cameron riceve Donald Tusk a Londra

Londra detta le condizioni all'Ue, che ora si ri-ritrova a un bivio

David Carretta
Bruxelles è pronta a tutto per evitare la Brexit, ma Cameron alza ancora la posta. Il ruolo dei paesi dell’est (e quello di Renzi)

Bruxelles. Nel momento in cui David Cameron affronta il negoziato finale sulla Brexit convinto di essere in posizione di forza, i capi di stato e di governo dell’Unione europea si trovano a un bivio. Per evitare l’uscita del Regno Unito, l’Ue è pronta a dare al premier britannico quasi tutto ciò che vuole: un “freno d’emergenza” per bloccare l’accesso al welfare degli immigrati europei senza violare le regole sulla “non discriminazione”; il diritto di parola nelle decisioni della zona euro per tutelare la City; qualche aggiustamento cosmetico ai poteri dei parlamenti nazionali; e una ridda di soliti impegni su competitività e libero commercio. Manca solo la modifica dei Trattati, e per David Cameron sarebbe cappotto. Ma in vista del Vertice europeo del 17 e 18 febbraio, quando i leader dovrebbero mettere il sigillo su un accordo, il premier britannico ha deciso di tirare ancora la corda. “Una concessione di troppo e la corda si rompe”, dice al Foglio un diplomatico europeo. Come ha spiegato Simon Nixon sul Wall Street Joruanl, “permettere a Cameron di reclamare una sua vittoria politica significativa” rischia di essere altrettanto “destabilizzante” di una Brexit. Una concessione di troppo potrebbe innescare una reazione a catena, con altri paesi pronti a minacciare la “exit” se non otterranno eccezioni e privilegi.

 

Una cena domenica tra Cameron e Donald Tusk si è conclusa molto rapidamente con un nulla di fatto, che ha costretto il presidente del Consiglio europeo a rinviare a oggi l’eventuale pubblicazione della proposta di compromesso sulla questione britannica, dopo l’ennesima riunione degli sherpa. L’offerta messa sul tavolo da Tusk era ghiotta: grazie al “freno d’emergenza” il Regno Unito – così come gli altri 27 Stati membri – potrebbe bloccare l’accesso  dei migranti europei ai servizi pubblici in caso di pressione eccezionale provocata dai nuovi arrivati. Ma Cameron ha chiesto di poterlo attivare subito dopo il referendum per una durata di sette anni – contro i quattro proposti dalla Commissione – e ha rifiutato la possibilità che altri paesi mettano il veto. “Ancora nessun accordo. Intenso lavoro nelle prossime 24 ore cruciale”, ha scritto Tusk su Twitter. La Francia avrebbe messo “linee rosse” per impedire a Londra di avere il veto alla zona euro su ulteriore integrazione o gestione delle crisi. Ma ieri, al numero 10 di Downing Street, si respirava grande ottimismo. Non solo la Commissione avrebbe già stabilito che le “attuali circostanze nel Regno Unito” giustificano l’attivazione del “freno di emergenza”, ha spiegato una portavoce di Cameron: il premier britannico ha chiesto garanzie sui “matrimoni fittizi” e altri trucchi che permettono agli immigrati non-europei di entrare liberamente nel Regno Unito.

 

[**Video_box_2**]Un’eccezione di sette anni alla libera circolazione dei lavoratori europei è inaccettabile per diversi stati membri, in particolare quelli dell’est che esportano centinaia di migliaia di lavoratori nel Regno Unito. Ma la Polonia guidata dai nazionalisti di Legge e Giustizia e l’Ungheria di Viktor Orbán sembrano pronte a un grande scambio, se consentirà loro di ri-nazionalizzare parte delle competenze trasferite a Bruxelles. Varsavia condivide le posizioni inglesi “sulle questioni maggiori sull’agenda europea”, ha detto il ministro degli Esteri polacco, Witold Waszczykowski. Ma anche a sinistra c’è chi ha interesse a smantellare il potere brussellese. “Non salveremo l’Europa con i professionisti dello zero virgola”, ha scritto ieri il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, in polemica permanente con la Commissione Juncker.

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