Donald Trump (foto LaPresse)

Analisi ironica della sconfitta di Trump

Stefano Pistolini
Farsi apprezzare in Iowa. Mica facile. Addirittura bestiale se sei Donald Trump, quel posto ti fa francamente orrore e non riesci a nasconderlo, perché di carattere sei così e non sai tenere a bada la tentazione di sfottere. Poi quelli ti castigano.

Prezzi da pagare per diventare presidenti: farsi apprezzare in Iowa. Mica facile. Addirittura bestiale se sei Donald Trump, quel posto ti fa francamente orrore e non riesci a nasconderlo, perché di carattere sei così e non sai tenere a bada la tentazione di sfottere. Poi quelli ti castigano. Regolare. Humour zero, in Iowa. Neve, tantissima. Ma anche l’orgoglio d’essere per tradizione i primi a votare, il barometro nazionale, sebbene laggiù ultimamente abbia vinto gente come Huckabee e Santorum, che di strada non è che ne abbia fatta molta. Comunque, per uno come Trump, l’Iowa è un incubo. Questione di cromosomi, di visione del mondo, di priorità, eccetera. A dir poco divergenti. Da quando ha preso ad aggirarsi per quelle remote strade, non ne ha fatta una giusta e dal suo scranno è arrivato perfino a prendere per i fondelli gli Iowans, a dir loro che stava proprio pensando di comprarsi un fattoria in quelle pianure e vai con la smorfietta del "manco morto". Quelli niente: silenti, rocciosi, l'espressione di chi trova un marziano in giardino e al massimo lo ricopre di terriccio. Loro hanno i caucus, i dibattiti a colpi di frasi di tre parole, ci si alza uno alla volta e si dice la propria. Ci credono, ne sono orgogliosi e hanno spedito all’inferno il parruccone di città, senza prendersi il disturbo di preavvisarlo.

 

Alla fine Donald scappa dall'Iowa con un sospiro di sollievo: piuttosto che tornarci si rimetterebbe a fare il Boss a “The Apprentice”. Che volete farci, fa parte del sadismo del processo elettorale americano: se vuoi vincere, devi passare sotto ogni genere di forche caudine. Compreso il severo senso del mondo, versione Iowa. Dove, in un cinematografico déjà-vu, sono riapparsi niente meno che gli evangelici, dei quali un po’ tutti c’eravamo dimenticati, dopo gli splendori dell'era W. Bush, quando furono titolari della issue più calda tra le guerre culturali, e di loro si disse che erano l’irresistibile forza nascente americana, il nuovo volto della vecchia America e via così, salvo vederli repentinamente scansati dalla ribalta da Sarah Palin e dal nascente Tea Party. Rieccoli in Iowa, rinvigoriti e richiamati dai peana rivolti al cielo da Ted Cruz, incolonnati alle porte dei caucus per sostenere quel candidato in cerca d’una sua fazione, lo stesso che attaccherà i rituali ringraziamenti dopo la vittoria con un "Gloria al Signore". Per lui adesso il problema è di scovarne qualcun’altro, di evangelico, nel sobrio, minuscolo e laicissimo New Hampshire. Dov’è probabile che Cruz cercherà di cambiare tavolo, giocando la mossa dell’anti Washington e dell’antidoto al sistema di potere, se solo non gli mancasse la faccia giusta per dire quelle cose e non fosse che è lo stesso sistema di potere, senza distinzioni politiche, che vuole essere l’antidoto a lui.

 

Diventa ovviamente più interessante il posizionamento del terzo incomodo, Marco Rubio, in attesa che si procuri il grip mediatico che l’innalzi a protagonista, cosa che finora gli è sempre sfuggita d’un palmo. In ogni caso, alla fine della prima giornata di campionato, è al vecchio Trump che con il pensiero si deve tornare, grati di quanto ha fatto per intrattenerci lungo l’inverno. Almeno l’inverno del suo scontento, tra i truci agricoltori germanici dell'Iowa, si è concluso.

 

[**Video_box_2**]Si torna verso la civiltà e purfino Manchester, NH, gli sembrerà Las Vegas. Potrà finalmente confessare cosa pensa di chi per mestiere alleva maiali, come tutti nello stato dei caucus, e ridarà verve alla sua idea di una campagna elettorale formato talent show, condito dalle sue freddure. Se solo gli si dovessero ancora parare davanti quei pazzi che sostengono che Dio ha creato il mondo 2000 anni fa, nemmeno fosse una start up, caricherebbe i bauli sull’elicottero e via dalla pazza folla, verso la torre che porta il suo nome e ha il colore dei suoi capelli. Fortuna per lui che il secondo round è alle porte e non gli mancheranno le occasioni per rifarsi. Quanto a noi, per ora, con Hillary a giocare cautamente di rimessa, i repubblicani a far casino e Bloomberg alla finestra, lo slogan di questa prima tornata delle primarie non può che essere: cercasi qualità. Disperatamente.

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