Federica Mogherini (foto LaPresse)

Le illusioni pericolose di Mogherini sull'Iran

David Carretta
L'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue prevedeva un futuro radioso per il medio oriente dopo il deal nucleare con l'Iran, ma è stata smentita subito dalla tragica escalation tra sunniti e sciiti.

Bruxelles. Partecipare al gioco delle previsioni per l'anno che verrà è sempre rischioso, ancor più se ci si culla nell'illusione di un mondo composto da attori perfettamente razionali che rifiutano l'uso della forza per difendere o affermare i propri interessi, come se il resto del globo si fosse trasformato in un grande happening di diplomatici occidentali. Federica Mogherini lo ha fatto sul medio oriente, rivelando l'ingenuità con cui l'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione Europea e gli stati membri che rappresenta stanno affrontando il conflitto tra sciiti e sunniti in corso alle porte dell'Europa. L'Economist aveva chiesto a Mogherini come sarà l'anno che si è appena aperto per il suo “World in 2016”. L'Alto rappresentante ha diligentemente usato le cautele del caso: “Ci sono molte sfide nel medio oriente di oggi”, “alcune probabilmente rimarranno per un lungo periodo”, “gli attori regionali perseguono agende diverse per ragioni storiche e a causa dei loro attuali interessi”, “non sarà facile”, “serviranno tempo, leadership collettiva e alcune decisioni difficili”. Ma alla fine – per essere più precisi, dalla prima riga del suo intervento – il responso della sfera di cristallo del capo della diplomazia europea era chiaro: “Il mondo nel 2016 può essere un luogo più sicuro grazie all'accordo che abbiamo raggiunto con l'Iran nel luglio 2015” perché il Joint Comprehensive Plan of Action firmato a Vienna “prepara la strada a una nuova dinamica regionale”. Al terzo giorno del 2016, la previsione di Mogherini è stata tragicamente smentita dall'escalation tra Iran e Arabia Saudita, a colpi di decapitazioni, manifestazioni violente e rappresaglie militari e diplomatiche.

 

Agli occhi di Mogherini, l'accordo sul nucleare iraniano doveva – e dovrebbe – essere l'atto fondatore di una nuova èra di diplomazia pacifica in medio oriente, incentrata sul dialogo e la cooperazione. La linea è sostanzialmente identica a quella del presidente americano, Barack Obama: il compromesso mette una croce sopra il peggio dei 37 anni di Repubblica islamica e trasforma i mullah in pacifiche colombe. “La nuova leadership iraniana ha dimostrato la sua volontà di dialogare con la comunità internazionale in un modo molto diverso”, ha scritto Mogherini: “Ho visto in prima persona l'impegno dei negoziatori iraniani nel raggiungere soluzioni reciprocamente accettabili”. Secondo l'Alto rappresentante, “l'accordo prepara la scena per nuove relazioni basate sulla fiducia, o almeno sul riconoscimento condiviso di interessi comuni”. E vale anche per la Siria dove la pace è “possibile”, perché “la cooperazione tra le forze sunnite e sciiti, o tra i paesi musulmani e i loro partner internazionali, è ciò che spaventa di più lo Stato islamico”.

 

Il 3 gennaio, di fronte alla crisi tra Iran e Arabia Saudita, Mogherini ha cercato di salvare le sue previsioni per il 2016. Ha preso il telefono in mano e chiamato i ministri degli Esteri di Iran e Arabia Saudita. All'iraniano Javad Zarif ha detto che “non devono essere risparmiati sforzi da parte di tutte le parti per mantenere la situazione sotto controllo ed evitare un'escalation delle tensioni religiose” perché “la sicurezza e la stabilità dell'intera regione, che già deve affrontare gravi minacce, è in gioco”. Al saudita Abel al Jubeir, l'Alto rappresentante ha chiesto di “evitare qualsiasi azione che possa alimentare la violenza nella regione e oltre”, sottolineando che tutti devono “agire in modo responsabile in questa situazione già molto volatile”. Tutto inutile. Il presidente iraniano, Hassan Rohani, ha detto che “l'Arabia Saudita non può coprire il crimine di decapitale un leader religioso tagliando i legami diplomatici”. Riad ha convinto il Bahrein, il Sudan, gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait a rompere con Teheran (gli ultimi due hanno ritirato il loro ambasciatore ma lasciato aperti i rapporti commerciali). L'ex premier iracheno, lo sciita Nouri al Maliki, ha chiesto di “rovesciare il regime saudita”.

 

[**Video_box_2**]La colpa di Mogherini non è tanto di esaltare l'accordo sul nucleare, ma di sottovalutare le sue ripercussioni geopolitiche e di ignorare il ruolo della Russia che con l'alleanza sciita soffia sul fuoco dei conflitti in medio oriente. Il Joint Comprehensive Plan of Action potrebbe funzionare, a condizione che l'Iran lo voglia davvero. I test iraniani sui missili balistici dell'ottobre 2015 non sono di buon auspicio. Semmai sono l'ennesima dimostrazione che la Repubblica islamica agisce nel senso opposto a quello auspicato da Mogherini: lungi dal sentirsi obbligati a legare le proprie mani a quelle del resto della comunità internazionale, i mullah si sentono più liberi di agire nella regione. “La nazione iraniana deve agire contro la volontà del nemico e colpire alla bocca del nemico”, ha scritto ieri su Twitter il Leader supremo, l'ayatollah Ali Khamenei: “un vasto fronte è attivo contro la Rivoluzione islamica. Perché sentono il pericolo. Perché il pensiero islamico è andato oltre l'Iran”. Accerchiata dalla crescente influenza iraniana in Iraq, Siria e Yemen, davanti al ritiro americano dalla regione, l'Arabia Saudita reagisce. Era prevedibile ed è stato previsto prima dell'accordo sul nucleare. Ma per Mogherini bastano “pazienza e ‘vision’: ciò che non accadrà nel 2016 potrebbe essere possibile nel 2017”.