Jeremy Corbyn (foto LaPresse)

Nel Labour di Corbyn è già tempo di epurazioni grilline

Cristina Marconi
C'è dibattito nel Partito laburista britannico su un possibile rimpasto del governo ombra per eliminare i "dissidenti", soprattutto quelli che hanno votato a favore degli strike in Siria, come Hilary Benn

Londra. Tira un vento di epurazioni grilline nel Labour britannico. Visto che il partito in Parlamento e il suo leader, il socialista Jeremy Corbyn, non si assomigliano quasi per niente, quest’ultimo starebbe valutando la possibilità di procedere a colpi di cesoia per ritagliarsi almeno un governo ombra malleabile, sfrondandolo di quegli elementi che soprattutto durante il voto (libero) del 2 dicembre scorso sugli attacchi aerei alla Siria sono andati in direzione contraria rispetto alla sua, permettendo a David Cameron di raggiungere la maggioranza. Di sicuro ancora non c’è niente, ma le voci secondo cui Corbyn, leader per caso di un Labour mai stato tanto disunito come da settembre in poi, stia per annunciare un rimpasto già all’alba del 2016, ossia lunedì prossimo, si susseguono ormai da giorni, e non solo sulla stampa di destra.

 

La prima testa sul ceppo sarebbe quella di Hilary Benn, ministro degli Esteri ombra, figlio del sinistrosissimo Tony e autore del discorso più ficcante dell’interminabile dibattito in aula sugli airstrikes, tanto che qualcuno ha parlato di lui come di un possibile leader alternativo. Il cancelliere ombra, John McDonnell, vicinissimo a Corbyn, non ha voluto dire niente – “le decisioni di rimpasto spettano al leader” - ma ha assicurato che Benn avrà un “ruolo importante” nel Labour. A seguire ci sarebbero Rosie Winterton, la chief whip, ossia quella che controlla che il gregge di voti vada nella direzione desiderata dalla leadership e che si è macchiata del crimine di astensione nel voto sulla Siria, e le gemelle Maria e Angela Eagle, la prima responsabile della Difesa, la seconda dell’Industria, la prima a favore del deterrente nucleare Trident, la seconda dell’intervento aereo contro le forze dello Stato islamico. Tutti da sostituire con figure amiche – fino al prossimo dissenso, almeno - come Diane Abbott e altri, si dice.

 

Per togliere lo spiacevole sapore di epurazione che una tale manovra potrebbe avere, Corbyn potrebbe giocarsi una carta a sorpresa: richiamare in campo Ed Miliband, il suo predecessore, ex leader ultraperdente che dopo soli 4 mesi di corbynismo, nonostante una disfatta elettorale pesantissima, quasi quasi rievoca dolci ricordi di conciliazione e di capacità di ascolto delle varie anime del partito. Lo scrive una penna autorevole a sinistra come George Eaton del New Statesman, secondo cui il coming back di Miliband riuscirebbe a dare un tono costruttivo all’intera operazione di Corbyn, mosso da tutt’altra ragione: la “vendetta”. Un sentimento ben “poco Jedi” secondo le parole di Michael Dugher, ministro ombra della Cultura e altro politico in predicato di sostituzione, che ha fatto presente come il partito sia finito preda di una guerra tra bande e di elementi “la cui aggressività è pari solo alla loro stupidità”.

 

Non stupisce che in un contesto del genere anche un Ed Miliband potrebbe fare la sua figura, visto che è uno dei pochi esponenti di spicco del partito a non essersi lanciato in polemiche negli ultimi mesi. A settembre aveva rifiutato un ruolo nel governo ombra in quella che poteva sembrare una presa di distanza dalla nuova leadership, che però, a differenza di tutti gli altri, non ha mai neppure criticato. Tanto che in un’intervista recente al Sunday Times, Corbyn ha detto: “Sono in contatto con Ed. Credo sia un gran persona e un grande amico. Voglio lavorare con Ed in qualunque maniera lo desideri”.

 

[**Video_box_2**]Se la storia del rimpasto non fosse sufficiente a spargere un po’ di veleno sul Natale laburista, il Daily Mail ha tirato fuori un documento dal titolo decisamente esplicito: “Prendere il controllo del partito”. Si dice che l’abbia scritto Jon Lansman, direttore dell’organizzazione pro-Corbyn Momentum, ma secondo un portavoce del Labour i suoi contenuti vengono discussi “tra alcuni attivisti”, non a livello di comitato centrale. L’idea di fondo è che siccome Corbyn non ha dalla sua i deputati, è meglio consultare ogni volta gli elettori, su questioni come il deterrente nucleare Trident, ad esempio, o come si sarebbe dovuto fare sulla Siria, quando poi ha prevalso la decisione sofferta di lasciare libertà di voto. (Il fatto che molti tra i 66 che hanno votato a favore degli strike aerei abbiano ricevuto minacce di morte o attacchi pesantissimi e sessisti, per esempio le deputate laburiste giovani e sveglie come Stella Creasy e Charlotte Leslie, la dice lunga sul tipo di elettori che il nuovo corso del Labour stia attirando). Tra le altre misure suggerite dal documento c’è il controllo dei comunicati stampa emessi da tutti i deputati, in modo da soffocare o almeno attutire le voci di dissenso, seguendo una linea che molti laburisti – tutti furiosi, tutti anonimi nelle loro dichiarazioni alla stampa - identificano come stalinismo strisciante, ma anche senso di superiorità morale un po’ tossico.

 

Tom Watson, il vice di Corbyn e politico focoso a cui la storia sta dando con molta ironia un ruolo da moderato, ha detto di non sapere nulla del rimpasto. “Ho visto che si è chiacchierato tanto a Natale”, ha spiegato, come sei i giornali avessero bisogno di questo per riempire le pagine durante le feste. “Qualunque rimpasto spetta al leader del Labour. E’ un lavoro molto solitario”, quello di Corbyn. Che sfrondatura dopo sfrondatura, epurazione dopo epurazione, deve stare attento a non rimanere solo.