Perché nel braccio di ferro tra Kirchner e Macri è stato tirato in mezzo anche Paperino

Maurizio Stefanini
L'ex presidentessa argentina litiga con il successore più o meno su tutto. E il personaggio Disney è uno degli argomenti che ha tirato fuori di recente per screditare il rivale
“¡Zamba o el Pato Donald!”. E così pure Paperino è finito in mezzo al braccio di ferro in seguito al quale Cristina Kirchner, ex presidente dell’Argentina, non ha partecipato all’insediamento del suo successore Mauricio Macri. La neo-peronista Cristina Kirchner ha perso, o meglio, ha perso il suo erede designato Daniel Scioli, di fronte al liberale Macri. L’ira dell’ex presidente è stata così grande da incentrarsi su un puntiglioso scontro sul luogo in cui celebrare il passaggio di consegne. Al Palazzo dei Congressi, insisteva lei, come già avvenuto da quando si era insediato suo marito, e dove si sapeva che le tribune del pubblico erano state appaltate a giovani kirchneristi pronti a fischiare il nuovo presidente. Alla Casa Rosada, si è impuntato lui, come si era sempre fatto prima dei Kirchner. Mentre l’orefice presidenziale Juan Carlos Pallarols minacciava che se i litiganti non si fossero messi d’accordo il bastone presidenziale sarebbe andato a portarlo “alla Madonna di Luján”, i due si sono presi a male parole. Lei si è lamentata di essere stata trattata male per telefono: “Ha gridato a una donna!”, ha detto. Lui ha fatto dichiarare dal giudice che il mandato di lei finiva alla mezzanotte esatta per evitare, oltretutto, che la presidentessa uscente continuasse a fare leggi, stanziare fondi e nominare gente in extremis. A quel punto, lei ha gridato al colpo di stato, “per 12 ore l’Argentina sarà senza Presidente”. Kirchner ha così deciso di boicottare la cerimonia: a consegnare a Macri banda e bastone presidenziali alla Casa Rosada, dopo il giuramento al Congresso, è stato incaricato Federico Pinedo, presidente del Senato, ‘capo dello stato provvisorio per 12 ore’.

 

Che c’entra Paperino? Nel discorso con cui Kirchner annunciava che Macri non sarebbe stato trattato con fair-play e che la presidentessa si preparava a fare ostruzionismo, è stato tirato in ballo anche il papero disneyano. Kirchner ha dichiarato che Paperino è simbolo dell’imperialismo e del neo-liberalismo, cui contrapporre Zamba, un ragazzino viaggiatore nel tempo protagonista di un cartone animato diffuso dalla tv pubblica per spiegare ai più piccoli la storia argentina. Ovviamente, da un punto di vista kirchnerista. “Adesso non ci mettano più Paperino!”, ha gridato la presidentessa uscente. “Adesso abbiamo Zamba. Adesso abbiamo i nostri eroi!”. “Ci sarà un nuovo presidente, ma ci sono due paesi. E occhio, perché Zamba è il 49 per cento”.

 

Va detto che Zamba, inventato nel 2010 su incarico del ministero dell’Educazione per celebrare il bicentenario dell’indipendenza, nella patria di Paperino è stato trovato in realtà così ‘poco incompatibile’ con i valori statunitensi che proprio a Los Angeles, nel 2014, gli hanno dato gli International Emmy Kids Awards come miglior cartone animato per bambini. D’altra parte l’Argentina è stata storicamente sede di una importante scuola di fumetti in cui si formarono da giovani dei giganti come Hugo Pratt e René Goscinny, e che ha esportato una quantità di titoli: dalla Mafalda di Quino, all’Eternauta di Héctor Oesterheld e Alberto Breccia, pure rivendicato dal kirchnerismo come icona ideologica (http://www.ilfoglio.it/articoli/2011/10/12/e-eternauta-il-vero-protagonista-della-campagna-elettorale-argentina___1-v-107237-rubriche_c175.htm). Passando per i personaggi epici di Robin Wood, da Nippur di Lagash a Gilgamesh o Dago; o per il sexy-fantasy di Juan Canotto, tutti fumetti che per altro in Italia hanno avuto un importante trampolino attraverso riviste come Lanciostory o Skorpio. Insomma, se c’è un paese che nella globalizzazione fumettistica non ci ha rimesso, è proprio l’Argentina.

 

[**Video_box_2**]Qui, però, i personaggi Disney erano stati portati dalla Abril di Cesare Civita. La casa editrice di un ebreo italiano esule (fuggì dopo la promulgazione delle leggi razziali), che fu il grande modernizzatore dell’editoria argentina, e che però fu sempre visto con ostilità sia dai peronisti sia dai marxisti. D’altra parte, Ariel Dorfman, nato in Argentina ma cresciuto negli Stati Uniti e naturalizzatosi cileno, nel 1972 scrisse insieme al belga Armand Mattelart un famoso saggio intitolato “Per leggere Paperino”, in cui applicava l’analisi marxista per stroncare il personaggio ritenuto portatore dei valori yankee. Classificato da Plinio Apuleyo Mendoza, Carlos Alberto Montaner y Álvaro Vargas Llosa tra “i dieci libri che hanno commosso l’idiota latino-americano”, quel pamphlet è stato duramente contestato da Thomas Andrae, il biografo dell’”uomo dei paperi” Carl Barks. Secondo lui, i due non si erano minimamente resi conto di tutta la carica, non solo di critica sociale ma perfino di anti-imperialismo e anti-capitalismo, anche in senso terzomondista, che si trova nelle storie del creatore di Paperon de’ Paperoni. Ma anche Luis Sepúlveda, qualche anno fa, ha definito i tre nipotini di Paperino dei “froci”, un simbolo dell’ingerenza americana in America Latina. Cristina Kirchner conferma che questa antipatia dura tuttora.