Una manifestazione a Londra di Stop the War

Pacifisti per l'Isis

Giulio Meotti
Stop the War elogia la “solidarietà” del Califfo. Su Parigi: “La Francia ha raccolto ciò che ha seminato”

Roma. Ancora ieri, Jeremy Corbyn definiva “nobile” e “vitale” l’organizzazione pacifista Stop the War, che ha guidato per quattro anni prima di diventare segretario del Labour a settembre. Corbyn ha così ignorato le richieste che venivano da più parti dal suo stesso partito, fra cui il ministro ombra dell’Istruzione Tristram Hunt, di tagliare i legami con i pacifisti inglesi, fra i cui patroni figurano la politica laburista Diane Abbott e il musicista Brian Eno. E’ successo che nelle scorse settimane due interventi di Stop the War hanno creato non poco scandalo. Sugli attentati del 13 novembre, l’organizzazione non governativa ha detto che la Francia “ha raccolto la tempesta del sostegno occidentale in medio oriente”. Una dichiarazione che ricalca appieno la rivendicazione dell’Isis per il massacro di 130 persone.

 

In un altro articolo, Stop the War ha paragonato i terroristi dello Stato islamico alle brigate internazionali che negli anni Trenta andarono a combattere contro il franchismo in Spagna. In risposta al discorso pro intervento contro l’Isis del laburista Hilary Benn, Stop the War ha poi scritto: “E’ una questione molto diversa andare disarmati a combattere per un paese e un popolo che non hai mai visto, sapendo che potrai non tornare, e alzarsi in parlamento e descrivere una campagna di bombardamenti come un atto socialista. Il movimento jihadista che ha generato Daesh (l’Isis, ndr) è molto più vicino allo spirito di internazionalismo e di solidarietà che ha spinto le Brigate Internazionali alla campagna di bombardamenti di David Cameron”. Sì, la traduzione è corretta.

 

Caroline Lucas, parlamentare verde, si è dimessa da patrona del movimento pacifista in segno di protesta. Stop the War, una sorta di alleanza fra la sinistra inglese, i movimenti islamici del Regno Unito e le “celebrities” con l’iniezione di glamour radical chic, aveva organizzato la più grande marcia contro la guerra in Iraq, quella del 15 febbraio 2003 a Londra, che vide la partecipazione di oltre un milione di persone, fra cui il Premio Nobel per la Letteratura, Harold Pinter. Furono loro per primi a usare la bandiera della pace (e della resa) come nuovo simbolo selvaggio di prostituzione delle ragioni del diritto a quelle dell’assalto politico al nemico. Un anno fa  diecimila persone scesero in piazza a Londra trascinate da Stop the War per protestare con l’operazione israeliana contro Hamas, al grido di “Israele stato terrorista”, “Gaza non piangere, non ti lasceremo morire” e “Allah è grande”.

 

[**Video_box_2**]Il settimanale Economist questa settimana ha attaccato Stop the War, definendo un “ululato relativista”. Il padre di questi pacifisti inglesi, Lord Russell, che coniò lo slogan “nessuna arma atomica dal Portogallo alla Polonia”, durante la Guerra Fredda fu molto schietto su cosa si auspicasse se l’alternativa fosse stata la guerra con l’Unione Sovietica: “Sarei personalmente favorevole al disarmo unilaterale. Significherebbe probabilmente, per un certo periodo, la dominazione comunista su tutto il mondo. Ma dovendo scegliere fra l’estinzione dell’umanità e un temporaneo dominio comunista, io sceglierei quest’ultimo”.
Ecco, i suoi nipotini di Stop the War non vedono poi così male “un temporaneo dominio del Califfato”. Solidale, ovviamente. 

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.