La nostra debole reazione militare

Redazione
Bilancio del contrattacco dell’Europa a un mese dalla strage di Parigi

Tra poche ore sarà un mese dal massacro di Parigi, la notte che definisce senza più possibilità di equivoci il rapporto tra l’Europa e lo Stato islamico: noi vittime e bersaglio, loro mandanti e carnefici con il chiodo fisso per gli attentati con il numero più alto possibile di vittime civili. Quale è stata la reazione del continente, come la si leggerà nei manuali di storia? Ieri alcuni titoli sardonici annunciavano che il Lussemburgo raddoppia il proprio contingente militare in Mali, “come risposta alla minaccia Daesh”, e manda un altro soldato a fare compagnia a quello già inviato laggiù. Totale dei soldati: due, e spediti in una delle poche zone di guerriglia in cui lo Stato islamico ancora non ha annunciato la propria presenza. L’impegno del Lussemburgo, si dirà, non è indicativo, ma anche gli altri governi europei la stanno prendendo – in proporzione – molto alla leggera, a cominciare da Roma.

 

Due giorni fa è uscita sui media la notizia che gli aerei americani impegnati in Iraq e Siria tornano alle basi senza avere sganciato bombe nel 40 per cento delle missioni, come se fossero alla ricerca di bersagli che non trovano – e non si vede perché gli aerei europei che si stanno aggiungendo alla campagna dovrebbero essere più fortunati. Il Pentagono ha annunciato l’uccisione a fine novembre del ministro delle Finanze dello Stato islamico, Abu Salah, ma non si tratta del tipo di successo definitivo che farà dormire sonni tranquilli ai parigini, o ai londinesi o a tutti noi per molto tempo. Come spiega il saggista Max Boot sul Wall Street Journal, la guerra contro lo Stato islamico non si può vincere soltanto dall’alto. Tre giorni fa la Gran Bretagna ha colpito per la prima volta con i suoi aerei dentro la Siria, dopo un melodramma parlamentare che ha fatto temere a Downing Street che l’autorizzazione non sarebbe arrivata: otto attacchi, soprattutto contro un grande giacimento di petrolio in mezzo al deserto di Deir Ezzor. La Germania sta mandando sei Tornado, alcuni aerei da rifornimento e milleduecento uomini in appoggio, ma i Tornado voleranno soltanto in missioni di ricognizione e sorveglianza. Inoltre, Berlino manderà la fregata Augsburg “a protezione della portaerei francese Charles de Gaulle”, che naviga davanti alle coste della Siria. Ci sarebbero i russi, che martellano come forsennati, ma perlopiù vanno fuori bersaglio di qualche centinaio di chilometri verso ovest, e colpiscono gruppi che non sono alleati di Abu Bakr al Baghdadi. 

 

Soldati in Mali, grandi navi da guerra nel Mediterraneo: a lume di naso, non sembrano il genere di misure militari che spianteranno il Califfato, che da anni danza tra le fiamme di una guerra civile araba che ha causato centinaia di migliaia di vittime e ha già mandato boots on the ground, i suoi,  in Europa.

 

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