Elezioni in Spagna, primo dibattito tv pre-elettorale a cui Rajoy non ha partecipato (foto LaPresse)

Niente sarà come prima nella Spagna dei nuovi partiti e leader

Sergio Soave
Si vota tra 10 giorni. Il bipolarismo non basta più, ma di coalizioni non si parla. I conti con Podemos e Ciudadanos

Barcellona. Tra dieci giorni si svolgeranno in Spagna  elezioni generali destinate a registrare un mutamento sostanziale del sistema politico del paese, che finora ha sempre visto governi monocolore imperniati su un partito di maggioranza (che quando era relativa poteva contare sull’apporto interessato delle formazioni regionali, catalane o basche). Il tradizionale bipolarismo tra popolari e socialisti era basato sul fatto che la somma dei due maggiori partiti ha sempre superato il 70 per cento dell’elettorato, mentre questa volta la presenza di due formazioni nuove, Ciudadanos al centro e Podemos a sinistra, rende probabile che la somma tra Pp e Psoe non raggiunga nemmeno la metà dei consensi. Il particolare meccanismo elettorale spagnolo, che portava un vantaggio in seggi consistente al primo partito in un quadro sostanzialmente bipolare, nella nuova configurazione dei rapporti di forza non funzionerà più. La conseguenza più immediata è una campagna elettorale in cui alla ricerca di consensi per la propria lista si accompagna una tattica più sofisticata volta a prefigurare future alleanze di governo, visto che sembra evidente che nessuna formazione può ragionevolmente puntare a ottenere una maggioranza autosufficiente o quasi, com’era sempre accaduto durate il quarantennio che ci separa dalla scomparsa di Francisco Franco.Vale quindi la pena di esaminare le prospettive elettorali e le potenziali alleanze ricercate dai principali partiti.

 

Il Partido popular del premier Mariano Rajoy, secondo i sondaggi e i risultati delle più recenti votazioni amministrative e regionali, è destinato a perdere la maggioranza assoluta e a conservare quella relativa, con una emorragia di voti assai consistente rispetto al voto del 2011. La strategia di Rajoy punta a valorizzare i risultati della sua politica economica, che ha prodotto un balzo in avanti della crescita, che ha raggiunto il record tra i grandi paesi dell’Eurozona. Tuttavia la ricaduta sociale della crescita produttiva è assai lenta e il tasso di disoccupazione è sceso di poco, il che rende difficile trasformare in consenso popolare le valutazioni quasi entusiastiche che vengono dalle centrali di valutazione internazionali. Un altro aspetto peculiare della campagna popolare è il tentativo di sottrarsi alla personalizzazione: nell’importante confronto televisivo tra gli esponenti delle quattro principali formazioni, Rajoy non si è presentato e ha mandato a rappresentare il Pp la vicepresidente del governo Soraya Sáenz de Santamaría, mentre si riserva per il confronto finale a due con il segretario del Psoe Pedro Sánchez. Il tentativo di Rajoy è quello di rianimare lo spirito del bipartitismo, per conquistare una parte consistente degli elettori indecisi tra il “vecchio” centrodestra del Pp e il centrismo emergente di Ciudadanos. Uno dei punti su cui batte molto la propaganda popolare è l’unità nazionale e il rispetto della Costituzione, in polemica con la Generalità catalana che ha approvato un documento secessionista condannato dalla Corte costituzionale, ma si tratta di un’arma a doppio taglio, che potrebbe invece avvantaggiare Ciudadanos, che su questo tema sostiene una linea ancora più rigorosa e, a differenza del Pp, riesce a farla valere proprio in Catalogna. Anche la politica delle future alleanze del Pp appare incerta: dopo aver proposto inutilmente a Ciudadanos un accordo perché ognuno dei due partiti centristi appoggi un governo di quello che prende più voti, Rajoy, accettando il confronto diretto in televisione solo con il segretario del Psoe sembra tenere di riserva l’ipotesi di una “grande coalizione” alla tedesca con i socialisti, ma anche questa prospettiva risulta assai incerta. Un altro elemento, per ora sotterraneo, che può indebolire Rajoy è l’impressione diffusa nei gruppi dirigenti del partito, che sarà difficile che i futuri eventuali alleati, socialisti o ciudadanos che siano, accettino che a guidare un nuovo governo continui a essere Rajoy, il che naturalmente attizza le ambizioni personali di vari esponenti, il che si è riversato in una certa difficoltà nello stilare le liste dei candidati.

 

I socialisti si trovano a dover fronteggiare una duplice concorrenza, quella di Podemos a sinistra e di Ciudadanos al centro. Nei mesi scorsi i sondaggi avevano dato volta a volta uno di questi partiti in vantaggio sul Psoe, che invece, sempre secondo i sondaggi che anche qui devono essere presi con le molle, sembra aver recuperato il secondo posto. Il nuovo segretario Sánchez non è fortissimo, è stato eletto con l’appoggio della potente consorteria socialista andalusa guidata dalla presidente della comunità autonoma Susana Diaz ma non ha una sua forza propria. Sánchez sta concentrando il fuoco sulla “corruzione” del Pp, ma anche il suo partito è implicato in numerosi scandali e quindi questa insistenza sul moralismo potrebbe rivelarsi controproducente. Anche Sánchez naturalmente punta a una rivalutazione del bipolarismo, ma deve far dimenticare la mediocre performance economica dei governi socialisti che avevano prima negato al crisi e poi non sono riusciti a fronteggiarla. Anche per questo invece che richiamarsi alla più recenti esperienze di governo cerca di valorizzare l’appoggio, arrivato in extremis, di Felipe Gonzalez. Gonzalez ha attaccato frontalmente Podemos, dicendo che non ci si può fidare di chi sostiene un governo come quello del Venezuela, paese con il quale esponenti della sinistra antagonista hanno tenuto rapporti assai intensi. Gonzalez, che aveva cercato di assumere la difesa in giudizio del capo dell’opposizione incarcerato dal regime chavista di Caracas, in questo modo cerca di aiutare Sánchez, ma punta anche a condizionarlo. La tattica per le alleanze postelettorali del Psoe, infatti, non esclude un’alleanza di tutti quelli che sono a sinistra di Rajoy, ma siccome non pare che l’appoggio di Ciudadanos sarà sufficiente, dovrà rivolgersi anche a Podemos, per replicare una alleanza simile a quella che si è pattuita in Portogallo. Su questa prospettiva, però, la parte del Psoe che continua a guardare a Gonzalez farà le barricate, il che contribuisce a rendere più probabile la ricerca dopo le elezioni di un accordo di grande coalizione, che viene denunciato dai partiti minori e negato sia da Sánchez sia da Rajoy, ma che potrebbe rivelarsi la soluzione più praticabile.

 

Ciudadanos è la novità più rilevante del panorama politico spagnolo. Il suo leader Albert Rivera ha gestito con abilità la duplice concorrenza con il Pp e con Rajoy predicando il cambiamento “necessario” e il tramonto di un bipolarismo dipinto come un duopolio consociativo. Dopo i successi registrati nelle elezioni regionali si è barcamenato, consentendo la elezione di una giunta popolare nella regione di Madrid e una socialista in Andalusia, imponendo condizioni programmatiche “anticorruzione” piuttosto popolari. Il massimo del suo successo è stato registrato in Catalogna, zona di origine della sua formazione, dove ha superato di gran lunga gli altri partiti nazionali contrari alla secessione, mettendosi alla testa della opposizione. Nell’ultimo periodo, però, la sua immagine si è un po’ offuscata, perché le giravolte tattiche e le genericità programmatiche sono apparse ambigue. Tuttavia viene considerato il probabile ago della bilancia degli accordi postelettorali, il che gli conferisce un ruolo decisivo che cerca di trasformare in consensi che Pp e Psoe cercano di contendergli (il che spiega la scelta di Rajoy di accettare solo un incontro televisivo a due con Sánchez).

 

[**Video_box_2**]Podemos, la formazione antagonista di Pablo Iglesias, che aveva segnato una battuta d’arresto, pare ringalluzzito nelle ultime fasi della campagna elettorale. Ha edulcorato la sua proposta, per esempio sulla politica internazionale, dove ha abbandonato la richiesta di uscire dalla Nato, e probabilmente sarà avvantaggiato dalla crisi dell’estrema sinistra di origine comunista e anche dalla scelta della sinistra repubblicana catalana di non presentare candidati a elezioni spagnole che non le interessano. Tuttavia difficilmente riuscirà a risalire dal quarto posto nelle intenzioni di voto dove è precipitato dai primi posti che occupava, sempre nei sondaggi, solo pochi mesi fa, quando ottenne la maggioranza nelle maggiori città spagnole, da Madrid a Barcellona. Il movimento degli “indignados” che era stato la base popolare della formazione costruita nelle università di Madrid, si è attenuato, mentre le preoccupazioni per la sicurezza e per l’aggressività del terrorismo islamista non trovano risposte nel pacifismo a oltranza di Podemos. In compenso Iglesias ha dimostrato nel recente dibattito a quattro di possedere una retorica più attraente dei suoi competitori, un po’ troppo ingessati in ruoli più “istituzionali” e questo, in una fase di personalizzazione della battaglia politica può avere il suo peso.

 

Nel quadro che si profila, non avranno un grande peso le formazioni minori, nemmeno quelle di base territoriale che grazie alla legge elettorale godono di un forte vantaggio nella trasformazione dei voti in seggi. Sarà comunque interessante vedere come andrà a finire in Catalogna, dove i partiti nazionali potrebbero superare quelli secessionisti dopo la dichiarazione di indipendenza virtuale approvata dal Parlament, o nel Paese basco dove i nazionalisti moderati devono vedersela con quelli più estremisti dopo il disarmo pressoché totale dei terroristi dell’Eta. Il dato più rilevante sarà il modo in cui il sistema spagnolo si assesterà dopo la crisi del bipolarismo, ma con i partiti tradizionali ancora ai primi posti. Le sfide da affrontare, dalla trasformazione della ripresa economica in ripresa dell’occupazione alla difesa dell’unità nazionale minacciata dal secessionismo, finiranno col definire le basi di possibili intese politiche comunque innovative rispetto alla tradizione di governi monocolori e di partiti di governo sostanzialmente autosufficienti, anche se questi elementi, che saranno quelli centrali, in una campagna elettorale dominata dal gioco tra i partiti e nei partiti sono rimati sullo sfondo.

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