Opinione pubblica e Russia. Il non detto del “sì” tedesco alla missione in Siria

Giovanni Boggero
Le reazioni al voto positivo del Bundestag alla guerra contro lo Stato islamico

Heidelberg. Con 445 voti a favore e 146 contrari, il Bundestag, la Camera bassa del Parlamento tedesco, ha dato venerdì pomeriggio il via libera alla missione della Bundeswehr, l’esercito federale, per combattere lo Stato islamico in Siria. Le regole di ingaggio, fissate dal governo di “grande coalizione” tra cristiano-democratici, cristiano-sociali e socialdemocratici, prevedono l’impegno di un numero massimo di 1.200 soldati in operazioni di pattugliamento e, in particolar modo, l’invio di una fregata da guerra che dovrà proteggere la portaerei francese “Charles de Gaulle” oltreché di sei tornado per operazioni di ricognizione in supporto ai caccia statunitensi, britannici e francesi, come già avvenuto in passato nei Balcani e in Afghanistan. La missione scadrà alla fine di dicembre del prossimo anno e costerà alla collettività più di cento milioni di euro. Berlino torna dunque a pieno titolo a far parte di una coalizione di stati nella guerra al terrorismo internazionale.

 

Astenutasi ai tempi della guerra in Libia e rimasta a lungo contraria all’utilizzo dei mezzi militari anche nel caso della Siria, dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre scorso la Cancelleria ha sciolto ogni riserva e ha raccolto la richiesta di soccorso lanciata dall’Eliseo a tutti i partner europei. Come spiega al Foglio Henning Riecke, politologo e direttore del programma relazioni internazionali presso il think-tank berlinese Dgap (Deutsche Gesellschaft für Auswärtige Politik), “le forze messe a disposizione dalla Bundeswehr sono essenziali e sono state richieste in questi termini proprio dalla Francia. In questo modo la Germania parteciperà agli attacchi aerei senza materialmente lanciare bombe”. Come noto, infatti, soltanto a partire dal 1990, dopo la riunificazione delle due Germanie, Berlino partecipa attivamente a missioni al di fuori del territorio della Nato, e soltanto in casi tassativi previsti dalla Costituzione e comunque mai senza l’approvazione della Camera bassa, tanto che la Bundeswehr è ormai comunemente chiamata Parlamentsheer, esercito del Parlamento.

 

L’analista Riecke: “Testa sull’agenda politica”

 

Da un punto di vista politico, spiega Riecke, “il profilo moderato dell’intervento tedesco è probabilmente dovuto al tentativo del governo di ottenere l’approvazione di decisioni scomode in poco tempo e di fronte a un’opinione pubblica critica”. In realtà, rispetto al passato, l’opinione pubblica tedesca non sembra del tutto ostile a un intervento: circa il 58 per cento degli intervistati dal primo canale della televisione pubblica Ard si è detta favorevole a che la Germania partecipi alla guerra contro lo Stato islamico. Tra essi, il 22 percento si è poi persino augurato che soldati tedeschi mettano presto i piedi in medio oriente, come già accaduto in Afghanistan. L’ipotesi dei “boots on the ground” è al momento fuori discussione nel governo, visto che non sarebbe comunque coperta dal mandato votato ieri dal Bundestag: “Attualmente le diverse condizioni di intervento sono ancora difficilmente prevedibili. Per questa ragione è poco credibile oggi ipotizzare se la Germania sarà o meno costretta ad aumentare il contingente o a inviare truppe in Siria”, chiarisce Riecke, che poi aggiunge: “Prima ancora delle operazioni militari è importante sincronizzare l’agenda delle potenze esterne coinvolte, tra cui la Russia, la Turchia, l’Iran e l’Arabia Saudita. Questo processo politico è la cornice necessaria per la buona riuscita dell’intervento militare”.

 

[**Video_box_2**]Con l’assunzione della Presidenza di turno dell’Osce nel 2016, la Germania e il suo ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier, sono determinati a giocare un ruolo fondamentale nella prosecuzione dei negoziati per assicurare alla Siria un nuovo governo stabile e riconosciuto da tutti i contendenti.

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