La vittoria dei liberali in Argentina, la fine del peronismo e l'effetto Papa Francesco

Maurizio Stefanini
Macri diventa il primo presidente liberale da quasi un secolo. Un momento di rottura in Sud America se si considera che per decenni il peronismo è stato un fenomeno che in Argentina faceva il bello e il cattivo tempo. E tutto questo nonostante il Pontefice.

Per decenni il peronismo è stato un fenomeno che il resto del mondo non riusciva a capire, ma che in Argentina faceva il bello e il cattivo tempo. Degli ultimi due presidenti non peronisti, Raúl Alfonsin è stato costretto a dimettersi in anticipo, Fernando de la Rúa ha dovuto addirittura scappare in elicottero dal tetto della Casa Rosada. L’ex-presidente uruguayano Pepe Mujica pensava probabilmente a loro quando ha invitato al  voto per il candidato kirchnerista Scioli sull’assunto che “in Argentina non si governa contro i peronisti”: lui che pure aveva in precedenza definito Menem “un mafioso” e i Kirchner “una sinistra truffa”. Poi è venuto Papa Bergoglio, e in molti hanno avuto l’impressione che all’improvviso il peronismo fosse stato sdoganato nel modo più clamoroso: da pasticcio ideologico inventato da un paese che la propria collocazione geografica “alla fine del mondo” rendeva particolarmente sui generis, a nuova proposta per i mali del mondo dopo la crisi delle ideologie tradizionali. Ma proprio adesso che il “Papa peronista” è divenuto un’icona mondiale, la sua Argentina lo sconfessa, e elegge presidente il liberale Mauricio Macri. Il primo liberale alla Casa Rosada dopo quasi un secolo.

 

Ma è vero poi che Bergoglio è peronista? In effetti, lui a un certo punto ha spiegato che la sua famiglia era radicale. Ma i radicali argentini, pur se riferimento storico dell’anti-peronismo e oggi alleati con Macri, storicamente sono stati anche loro un movimento populista e statalista, oggi membri dell’Internazionale Socialista.

 

Hipólito Yrigoyen, il loro fondatore, fu un caudillo trascinatore di masse dal carisma abbastanza simile a quello Perón, anche se rispetto a lui aveva l’handicap di non poter ostentare una divisa.

 

D’altra parte il peronismo è stato molte cose. Ispirato allo Stato corporativo di Mussolini e fautore della Terza Via, all’inizio. Poi vicino alla Dottrina Sociale della Chiesa. Poi anticlericale. Ospite di Franco, l’esule Perón si incontrò clandestinamente con Che Guevara, per montare una rivolta contro i regimi anti-peronisti al potere a Buenos Aires. Poi tornò presidente, mentre nelle piazze si sterminavano tra peronisti di estrema destra dell’Alleanza Anticomunista Argentina e quelli di estrema sinistra dei Montoneros: entrambi gridando “Viva Perón”. Con Menem il peronismo è diventato liberista; con i Kirchner si è accodato alla moda bolivariana. E se Macri è stato eletto è stato anche perché per lui ha votato la maggioranza degli elettori di Sergio Massa: peronisti anti-Kirchner.   

 

Curiosamente, in questo momento entrambi gli ambasciatori argentini presenti a Roma sono intellettuali peronisti. L’ambasciatore in Italia Torquato Di Tella, che fu anche ministro della Cultura tra 2003 e 2004, è in particolare un politologo che ha letto il peronismo in controluce all’esperienza della socialdemocrazia europea: dove una classe operaia matura ha selezionato da sé i propri leader attraverso in particolare il cursus honorum sindacale, ma anche quello del funzionariato di partito. Contesto del populismo latino-americano sarebbe invece quello di una plebe di campagnoli di recente inurbati, che questo recente inurbamento ha privato dei “tre padri” tradizionali cui erano abituati a rivolgersi per risolvere i propri problemi nell’ambito di un rapporto referenziale. Cioè, il padre-patriarca “biologico” della famiglia allargata rurale; il notabile-proprietario terriero-datore di lavoro; il sacerdote. A quel punto, si cercano dunque un “quarto padre”, che riassume in se le caratteristiche del patriarca, del datore di lavoro tradizionale e dell’autorità religiosa. È questo è tipicamente il militare, proprio per il tipo di carisma formale che dà la divisa.

 

L’ambasciatore presso la Santa Sede è invece Eduardo Valdés, che su questo tema si è confrontato direttamente col Foglio. “Papa Francesco un peronista? Come presidente di quell’Istituto Alti Studi Juan Perón che è il centro studi sul peronismo più importante che ci sia in Argentina dovrei dire che mi sento orgoglioso. Ma come persona responsabile e come ambasciatore dell’Argentina presso la Santa Sede comprendo che chi dà questa etichetta vuole svilire Papa Francesco, e spiego comunque che semmai è il contrario. Non è Papa Francesco peronista. Semmai è il peronismo che si ispira alla Dottrina Sociale della Chiesa, in particolare come è definita dalla Rerum Novarum e dalla Quadragesimo anno”.

 

[**Video_box_2**]Insomma, forse più che Papa peronista Bergoglio è solo un Papa statalista: come tutti i governanti argentini dell’ultimo secolo. Compreso Menem: che privatizzava semplicemente per finanziarci un peso artificialmente sopravvalutato. Popolare per l’alto potere d’acquisto che garantiva, ma alla lunga devastatore per l’economia. I liberali argentini, tra cui Jorge Luis Borges, hanno però sempre notato che fin quando l’Argentina è stata governata in modo liberale è ascesa fino a diventare la sesta potenza economica del mondo; e dopo, appunto negli ultimi cento anni, è precipitata. “Questo Paese meraviglioso è uno dei Paesi con più spirito imprenditoriale”, è stata una delle prime cose che Macri ha detto dopo essere stato eletto: in qualche modo, riecheggiando l’idea di Borges secondo cui in realtà l’istinto primario degli argentini sarebbe piuttosto antistatalista. Insomma, la grande scommessa è lanciata. Macri o Bergoglio?

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