Militari all'esterno dell'hotel attaccato dai jihadisti (foto LaPresse)

Jihad senza confini

L'attacco islamista in Mali riapre un fronte di guerra per la Francia di Hollande

Eugenio Cau
Assedio all’hotel Radisson nella capitale Bamako, 27 morti, più di cento rapiti. Gli equilibri nella guerra al terrore.

Roma. Secondo i testimoni, i membri del commando che venerdì ha preso d’assalto l’hotel Radisson Blu – luogo di ritrovo per gli stranieri di Bamako, capitale del Mali – sono entrati urlando “Allahu Akbar”. E’ successo alle 7 del mattino ora locale, i terroristi hanno approfittato del fatto che i cancelli erano stati aperti per far passare una macchina con targa diplomatica, si sono fatti strada nell’hotel fino ai piani alti, tra il quinto e il settimo, e si sono asserragliati dentro prendendo almeno cento ostaggi. L’esercito è arrivato subito, poi le forze speciali francesi e i Caschi blu della missione Onu Minusma. Anche le forze speciali americane hanno collaborato. Ma prima che i militari potessero fare irruzione, i rapitori avevano iniziato a selezionare i prigionieri.

 

Kassim Traoré, un giornalista maliano che si trovava a cinquanta metri dal Radisson al momento dell’attacco, ha detto ai media che i terroristi hanno chiesto agli ostaggi di recitare la Shahada, la professione di fede islamica. Chi era in grado di farlo veniva rilasciato, come nell’attacco al mall di Nairobi del 2013. L’assedio dell’hotel è durato ore, verso sera almeno 27 persone erano morte e tutti gli ostaggi sopravvissuti liberati. Il gruppo Al Mourabitoune, guidato dall’algerino Mokhtar Belmokhtar, ha pubblicato una rivendicazione via Twitter. L’attacco al Radisson è un colpo duro soprattutto per la Francia, che dopo la guerra dell’inizio del 2013 ha considerato una priorità strategica la stabilizzazione della regione del Sahel, dove il presidente François Hollande ha inviato migliaia di uomini in missioni di peacekeeping, e che adesso è assediata su un altro fronte di guerra a una settimana dagli attentati a Parigi.

 

L’impegno militare nel Sahel è tra le motivazioni che frenano la reazione “spietata” della Francia contro lo Stato islamico in Siria. Hollande ha impiegato abbondanza di “boots on the ground” nel Mali e nel resto della regione, insediandosi in due basi a Tessalit e a Gao, rispettivamente nel nord e nel centro del paese. Nel 2013 la Francia era arrivata ad avere oltre 5.000 soldati insediati in Mali, e il loro intervento fu fondamentale per sconfiggere l’insurrezione jihadista che aveva conquistato tutto il nord del paese ed era arrivata a occupare Timbuctù, provocando una distruzione del patrimonio storico e archeologico paragonabile a quella di Palmira. Oggi il contingente francese in Mali è di circa 1.500 soldati (sono più di 3.000 in tutta la regione) affiancati dai Caschi blu dell’Onu, ma gli esperti dicono all’unisono che un impegno più consistente in Siria, invocato da Hollande dopo le stragi di Parigi, rischia di mettere sotto sforzo eccessivo le capacità militari francesi, finora protese verso l’Africa occidentale.

 

L’attacco al Radisson mostra che la Francia non può ancora disimpegnarsi nel Sahel. I terroristi hanno preso esplicitamente di mira i cittadini occidentali, colpendo un hotel di lusso che è famoso per ospitare uomini d’affari e viaggiatori stranieri. Al Mourabitoune, il gruppo jihadista che ha rivendicato l’assedio, è considerato responsabile di altri tre attacchi contro occidentali quest’anno, a marzo contro un ristorante di Bamako, dove cinque persone sono morte, in aprile in un attacco suicida contro le forze Onu e in agosto contro l’hotel Byblos di Sévaré, cittadina nel centro del paese dove sono morte 19 persone.

 

[**Video_box_2**]In Mali il potere militare e il frazionamento dei gruppi jihadisti ricorda quello di Libia e Siria. La penetrazione dello Stato islamico sta provocando scontri e faide soprattutto nel nord del paese. Mokhtar Belmokhtar, il leader di Al Mourabitoune, famoso per aver preso 800 ostaggi in un impianto gasiero algerino nel 2013, era un membro di spicco di al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi) fino a circa un anno e mezzo fa, quando si è distaccato dal gruppo per fondare la sua organizzazione. Da allora Belmokhtar ha avuto un rapporto di rivalità e al tempo stesso di collaborazione con Aqmi e con uno dei suoi referenti in Mali, il gruppo Ansar Eddine, responsabile dell’insurrezione del 2013. Nel corso di quest’anno alcuni membri di Al Mourabitoune hanno giurato fedeltà allo Stato islamico, e tra i gruppi ci sono stati scontri, ma nella rivendicazione diramata venerdì (e non ancora confermata) Belmokhtar ha scritto che l’attacco è stato condotto “in coordinazione con i nostri fratelli di Aqmi”.

  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.