Sostenitori di Erdogan in piazza ad Ankara (foto LaPresse)

Occidente debole, uomo forte in Turchia

Redazione
I turchi scelgono la stabilità perché non vedono grandi decisori

Alla notizia che l’Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan aveva stravinto le elezioni di domenica in Turchia, la Borsa e la lira turche si sono impennate. L’Europa, nelle sembianze di Federica Mogherini, si è affrettata ad applaudire la gran prova della democrazia turca, dopo aver segretamente tifato per Erdogan e per il suo atteggiamento risoluto nella crisi dei migranti. Gli elettori turchi, e perfino moltissimi dei curdi che alle elezioni di giugno avevano negato all’Akp la maggioranza, dopo la sbornia libertaria si sono accoccolati placidamente nel pugno di ferro del sultano di Ankara. Dopo aver messo in atto una politica del caos, aver iniziato una guerra e mandato all’aria il negoziato con i curdi, Erdogan e il suo candidato Ahmet Davutoglu si sono rivenduti come gli alfieri della stabilità, e la Turchia gli ha voluto credere – e l’occidente con lei.

 

Si parla dello sgretolamento del modello turco, di quella commistione apparentemente perfetta (ma troppo fragile, a quanto pare) tra islam moderato e crescita economica abbattuta sotto i colpi dell’autoritarismo e della paranoia di Erdogan. Ma più veloce del modello turco si è andato disfacendo l’ordine del mondo occidentale. I turchi vedono cosa sta succedendo attorno a loro, e anche in casa loro: e se Washington non sa che cosa fare in medio oriente, se l’Europa è incapace di parlare con una voce sola e quindi, figurarsi, di prendere una decisione ferma, allora – pensano – meglio restare sull’usato sicuro e meglio tenersi lo “strongman”, come ha titolato il Wall Street Journal, l’uomo forte. Non è bello, ma le cose sono collegate: i turchi si riprendono il sultano in casa perché fuori non vedono proposte forti e indicazioni stabili.

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