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Perché il prezzo della vittoria di Erdogan è salato. Anche per lui

Gianni Castellaneta
La vittoria di Erdogan, che si riprende il parlamento dopo diversi mesi di frammentazione politica, non è priva di interrogativi. Tutti i dubbi dopo la vittoria dell'Akp nelle elezioni di domenica in Turchia.

La vittoria di Erdogan, che si riprende il parlamento dopo diversi mesi di frammentazione politica, non è priva di interrogativi.

 

Il primo dubbio riguarda la volontà di Erdogan di ripristinare un “normale” stato delle cose e dunque abbassare i toni del confronto con i curdi, agitati come spauracchio politico-elettorale per mobilitare il sentimento nazionalistico mai definitivamente sopito, ma anche con la Russia. Sarebbe un gran bene, dal momento che il muscolarismo di cui Ankara ha dato prova in questi mesi ha talora fatto intravvedere scenari che non escludono il coinvolgimento della Nato al fianco della Turchia in un paradossale rivolgimento di interessi. Lo sa bene l’Italia, che è membro Nato e sarebbe chiamata a soccorrere Erdogan contro quel Putin che a Roma è considerato un prezioso alleato su diversi dossier – anche se c’è molta pruderie ad ammetterlo apertamente.  

 

Il secondo dubbio riguarda lo stato dei rapporti tra Erdogan e lo “Stato profondo” turco. Quest’ultimo è il complesso dell’apparato di sicurezza e giudiziario che ha a lungo animato uno scontro con Erdogan, energico inquilino nuovo arrivato nel condominio abitato per quasi un secolo dai laici kemalisti. Erdogan rimane un uomo di potere ma anche un pragmatico, e può darsi che nemici comuni – come il potentissimo e per molti versi misterioso movimento gulenista – siano una sfida in grado di far accantonare vecchi dissapori.

 

[**Video_box_2**]Il terzo elemento degno di nota, che si ricollega ai rapporti con la componente laica delle istituzioni turche, riguarda i rapporti con Davutoglu. Il tandem con questo accademico e ideologo neo-ottomano non si è rivelato fortunato rispetto a quello con il vecchio partner, Gul. Troppo forte, forse, l’ardore ideologico di Davutoglu, che si è formato in Malesia e ha distillato nel suo testo più noto, “Strategic Depth”, un ambizioso piano di espansione turca.  

 

Questi tre elementi interrogativi segnalano che Erdogan è vittorioso, ma anche che ha dovuto pagare un prezzo elevato per agguantare l’affermazione elettorale e che non tutte le azioni che ha dispiegato negli ultimi mesi sono necessariamente reversibili. Sarà possibile rimettere il dentifricio nel tubetto? Lo capiremo presto.

 

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