Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk (foto LaPresse)

I vertici dell'Europa si scontrano sulla strategia per i rifugiati

David Carretta
Juncker vuole aprire ai rifugiati, Tusk chiede all'Europa di riprendere il controllo delle frontiere. Centomila nuovi profughi da Aleppo e dalle regioni bombardate dai russi.

Strasburgo. La crisi dei rifugiati ha provocato una faida al vertice dell'Unione europea, che rischia di compromettere la capacità del blocco di affrontare quella che il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha definito come “la più grande sfida che abbiamo visto da decenni”. L'ondata di migranti in marcia sulla rotta dei Balcani rischia “di distruggere realizzazioni come la libera circolazione delle persone tra i paesi membri di Schengen” e di provocare “cambiamenti tettonici nel panorama politico europeo”, ha avvertito Tusk in un dibattito davanti all'Europarlamento. Ma le divergenze tra il presidente del Consiglio europeo e il suo omologo alla Commissione, Jean-Claude Juncker, sono sempre più visibili. Se Tusk insiste sulla necessità di “riprendere il controllo delle frontiere” dell'Ue come chiesto da gran parte dei paesi dell’est, Juncker difende a spada tratta l'approccio paternalistico di Angela Merkel di apertura ai rifugiati. “La politica del panico dà solamente l'illusione di soluzioni”, ha detto Juncker all'Europarlamento, criticando implicitamente i paesi che alzano muri e chiudono le loro frontiere.

 

[**Video_box_2**]Dalla tragedia del 18 aprile 2015 al largo delle coste di Lampedusa, la Commissione Juncker ha rincorso la crisi dei rifugiati, tentando di rattoppare le falle di una diga che non regge più. La proposta di ridistribuire 160 mila rifugiati siriani, eritrei e iracheni da Italia e Grecia verso gli altri paesi, per quanto innovativa, non è ancora decollata e comunque si dimostra insufficiente rispetto ai numeri assoluti. Gli “hotspots” che dovevano garantire la registrazione e la selezione dei migranti che entrano nel territorio europeo, sulla base delle regole di Dublino, non funzionano. Il tentativo di convincere la Turchia a tenersi i rifugiati siriani in cambio di concessioni finanziarie e politiche è ostaggio degli umori di Recep Tayyip Erdogan e della sua campagna elettorale. L'ultima iniziativa di Juncker – un mini-vertice dei paesi sulla rotta dei Balcani convocato domenica scorsa – si è trasformato in un ring nel quale presidenti e primi ministri si sono scambiati accuse reciproche. “Non si può dire che tutti gli interventi siano stati un contributo al dialogo”, ha ammesso lo stesso Juncker. L'obiettivo della Commissione è “rallentare i flussi”. La speranza è che, più prima che poi, si esauriscano grazie all'inverno.

 

Il mini-vertice sui Balcani ha rischiato di provocare una rottura tra Juncker e Tusk. Il presidente della Commissione ha violato le regole della buona educazione comunitaria, prendendo l'iniziativa di riunire capi di stato e di governo. Tusk ha aspettato fino all'ultimo prima di rispondere positivamente all'invito. Del resto, il presidente del Consiglio europeo ha una visione diversa di come affrontare la crisi. “Il dovere primario delle autorità pubbliche è sempre stato di fornire sicurezza alla propria comunità e proteggere le frontiere”, aveva detto Tusk al Congresso di Madrid della scorsa settimana, facendo eco alle parole dure del premier ungherese, Viktor Orbán. “Nessun paese, inclusa la Turchia, può sostituirci nel proteggere le nostre frontiere”, ha ribadito Tusk davanti all'Europarlamento. Il presidente del Consiglio europeo ha almeno il merito di ricordare l'origine della crisi dei rifugiati e perché è destinata a durare: la Siria e la mancanza di volontà degli europei di intervenire e di coinvolgersi direttamente nel conflitto. Con l'intervento della Russia “la situazione peggiorerà”, ha ricordato Tusk: c'è una “nuova ondata” in arrivo “da Aleppo e altre regioni bombardate dai russi, che ha creato più di 100 mila nuovi rifugiati”.