Beata Szydlo del partito conservatore PiS (a sinistra) ed Eva Kopacz, attuale premier della Polonia, del partito liberale Piattaforma civica

Polonia tradita

Paola Peduzzi
L’Europa e i liberali non hanno mantenuto le promesse, e sentono odore di sconfitta

Come spesso accade nelle tornate elettorali del nostro continente, c’entra sempre l’Europa. O si vota contro l’Europa o si vota a favore dell’Europa: il progetto comunitario è sottoposto a un referendum permanente, che di volta in volta si declina nei paesi dell’Unione con toni diversi ma sceneggiature più o meno simili. La Polonia che va al voto domenica non fa eccezione, e in questo paese gioiello della Nuova Europa, l’Europa e gli europeisti pagano per le promesse che non hanno mantenuto.
I sondaggi – che qui sono precisissimi – dicono che il partito conservatore PiS (Diritto e giustizia) vincerà, e la sua candidata, Beata Szydlo, diventerà il prossimo primo ministro, scalzando l’attuale tenutaria del posto, Eva Kopacz, esponente dei liberali di Piattaforma civica. I giornali internazionali riassumono la questione con “il ritorno dell’onda nera” e la restaurazione della celebre “Polonia profonda” che strappa il potere agli europeisti un po’ corrotti e un po’ traditori che hanno guidato in questi anni il paese. I toni catastrofici sono presenti anche sui giornali polacchi, soprattutto quelli di ispirazione liberale, come la Gazeta Wyborcza di Adam Michnik che da settimane prepara i suoi lettori al ritorno al passato. La regia di questa svolta conservatrice, tradizionalista, profondamente cattolica è riservata al fratello Kaczynski rimasto in vita, Jaroslaw – l’altro, Lech, che era presidente della Polonia, è morto in un incidente aereo in Russia – che ha deciso di non correre in prima persona come molti si aspettavano ma ha mandato avanti alle presidenziali prima Andrzej Duda, che ha vinto, e ora Beata Szydlo, che si appresta a fare lo stesso. Il PiS raccoglie lo scontento diffuso nel paese per l’attuale governo e per il progetto liberale che incarna. Ma perché i polacchi, che hanno un’economia che cresce a ritmi costanti e rapidi, che non è stata piegata dalla crisi che ha steso il resto dell’Europa, che ha visto aumentare il suo tenore di vita in modo progressivo ed euforico, decidono di voltare le spalle a chi questo progetto di sviluppo l’ha messo in piedi fin dal 1990?

 

Lo abbiamo chiesto a Francesco M. Cataluccio, che di Polonia è esperto e la conosce bene: “Buona parte della popolazione polacca – dice – è rimasta esclusa dagli effetti della crescita, penso ai più anziani per esempio, che devono sopravvivere con pensioni da fame e vedono che la forbice tra i poveri e i ricchi si è allargata a dismisura”. La diseguaglianza, eccola anche qui. Cataluccio cita il saggio di Marcin Krol, che ha diretto la rivista di critica liberale Res Publica, e che ha spiegato che cosa è andato storto dalla rivoluzione dell’89: “I princìpi ispiratori di quella rivoluzione erano la libertà, la fraternità e l’uguaglianza. Sulla libertà non ci sono dubbi, la Polonia è un paese libero. Sulla fratellanza, intesa come solidarietà, anche si può essere soddisfatti: è stata l’idea forte di Solidarnosc. Sull’uguaglianza invece no: non è stata raggiunta, e la promessa liberale che è andata di pari passo con la promessa di integrazione europea a braccetto con l’occidente è stata tradita”. Piattaforma civica oggi non ha nemmeno un candidato forte da presentare: Eva Kopacz, che nei dibattiti è brava e competente ma non entusiasma nessuno, ha preso il posto lasciato vacante da Donald Tusk, ora capo del Consiglio europeo, in quella Bruxelles che in Polonia è vista con sempre più distacco – e dove, aggiunge Cataluccio, “Tusk non ha portato quella ventata di necessaria freschezza che si sperava”. La classe dirigente della rivoluzione non è riuscita a rinnovarsi e anzi, paradossalmente, ha finito per lasciare insoddisfatta quella classe operaia che per prima l’aveva animata e seguita. “Se ci si aggiunge la corruzione, la sconfitta politica e culturale diventa ancora più evidente”, nota con amarezza Cataluccio. E’ forse questo il motivo per cui è nato e sta crescendo il partito Razem, che significa Insieme, guidato da due giovani, Adrian Zandberg e Marcelina Zawisza, un tandem uomo-donna che sta andando benissimo in una campagna elettorale piena di signore (è una società matriarcale, quella polacca), che fa dell’anticorruzione la sua bandiera.

 

[**Video_box_2**]Il PiS dice di voler uscire dall’Europa, dice che gli immigrati portano le epidemie, predica una presa di distanza dal liberalismo, e il suo messaggio trova orecchie attente. In questo conta moltissimo la politica estera, che dalle nostre parti di solito non muove nemmeno un voto e che invece in Polonia è importantissima. “La gestione della questione ucraina è tra le ragioni dell’ascesa del PiS – dice Cataluccio – L’Europa non ha dato grande prova di sé, secondo i polacchi: non ha difeso la sovranità territoriale dell’Ucraina, e pur facendo a tratti la voce grossa con la Russia non ha dimostrato di essere disposta a schierarsi contro Mosca e le sue ambizioni in modo deciso. Il risultato è che i polacchi sentono i russi più vicini e minacciosi, perché il cuscinetto ucraino si è assottigliato. In più sono arrivati tanti ucraini, circa due milioni, in Polonia, in fuga dalla guerra e questo ha reso la questione immigratoria ancora più sentita e controversa. Gli ucraini forniscono manodopera a basso costo mediamente qualificata, per cui per ora l’integrazione funziona, ma non si sa come e quanto la capacità di accoglienza può durare. E’ per questo che all’inizio della discussione sulle quote di redistribuzione degli immigrati fatta dall’Ue, Varsavia si è schierata contro, assieme all’Ungheria e ad altri paesi dell’est. Poi ha cambiato posizionamento, ma è significativo che un paese che ha vissuto di immigrazione per buona parte della sua storia oggi abbia l’istinto a chiudersi”.

 

Se arriva “la Le Pen polacca”, allora che si fa, si lascia il paese come qualcuno ha proposto sulla Gazeta Wyborcza? Cataluccio sorride, dice “ma i polacchi se ne stanno già andando, i giovani vanno tutti all’estero! E non sono più gli idraulici che tanto hanno spaventato il resto dell’Europa, sono medici, informatici, scienziati: questo genera altro impoverimento. La Polonia paga per la loro istruzione e poi questi talenti contribuiscono al pil di altri paesi”. Chiudersi in se stessi, come vuole il PiS, non sembra che possa portare a una soluzione dei problemi, anzi. Ma se la Polonia ha deciso di non voler entrare nell’euro fino al 2022, se gli economisti polacchi sostengono, con argimenti forti, che se il paese entra nella zona Euro fa la fine della Grecia, diventa accattivante “l’opzione inglese”: prendere quel che di buono viene dall’Europa e lasciare fuori tutto il resto, soprattutto l’euro. Che come dichiarazione d’amore non è un granché. E per i liberali suona come una sconfitta.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi