Un'immagine satellitare del porto di Tartus, in Siria

L'Europa e l'Italia si guardino allo specchio

Gianni Castellaneta
L'idea che il solo intervento aereo possa cambiare gli equilibri nel paese non regge

Mentre la macchina militare russa procede speditamente nel suo programma di bombardamenti, ampi settori in occidente si interrogano sulla posizione da prendere in Siria. Per prossimità geografica e dettami della realpolitik, sono l’Europa e l’Italia a doversi guardare allo specchio. L’idea che il solo intervento aereo possa bastare a rovesciare le sorti della regione e portare all’annientamento delle armate dal vessillo nero è buona al massimo per qualche caso di scuola.

 

La realtà è, come sempre, più complessa. Per capirla, può aiutare dare un’occhiata a quella che verosimilmente è l’agenda di Vladimir Putin. I tre interrogativi da tenere a mente sono: a) quanto è esteso il perimetro di intervento russo, b) che tipo di forze saranno mobilitate, e c) quali nemici si schiereranno contro l’intervento. Intanto, non è vero che Putin vuole liberare tutta la Siria. Più realisticamente l’obiettivo del Cremlino è la messa in sicurezza di un mini-stato alauita affacciato sul Mediterraneo, una enclave marina con connessioni a Damasco e Aleppo. Le priorità russe, in particolare, sono Latakia e Tartus. Per l’intervento di terra, poi, i russi non hanno al momento messo in campo forze imponenti, ma possono contare sugli hezbollah iraniani e sulle milizie sciite irachene che combattono da anni al fianco di Assad. Resta dominante, dunque, una combinazione tra intelligence e interventi aerei. Per il pubblico italiano, nel caso di intervento al fianco di Putin anche questa combinazione potrebbe non essere priva di traumi. Il ricordo dei piloti di Tornado catturati da Saddam Hussein è ancora vividamente impresso nella memoria collettiva del Belpaese, anche se l’espansione dell'Isis lungo un enorme arco mesopotamico è uno spauracchio abbastanza forte da far superare questi traumi. Il terzo aspetto è particolarmente delicato.

 

[**Video_box_2**]Se da un lato il nemico del mio nemico è mio amico, è pure vero che l’amico del mio nemico è mio nemico. E la Siria di oggi non è quello che fu l’Afghanistan per la Russia di Andropov e Breznev, quando le armate russe si trovarono a fare i conti non solo con la tenacia dei mujaheddin ma anche con una vasta coalizione internazionale che comprendeva il Pakistan di Zia ul-Haq e l’Arabia Saudita di re Fahd, sotto l’attenta regia di Jimmy Carter. E’ vero, Turchia e Arabia Saudita non gradiscono affatto – per usare un eufemismo – l’intervento russo. Ma né re Salman né Erdogan possono essere paragonati ai cardinal Mazzarino che misero in ginocchio l’Unione sovietica. E forse converrebbe davvero anche a Roma smetterla di guardare ad Ankara con le lenti rosa, mentre aiuterebbe capire dove finiscono le armonie tra Italia e Turchia e inizia la competizione.

 

Gianni Castellaneta è diplomatico, presidente di Sace, consigliere d’amministrazione di Finmeccanica