Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Ash Carter (foto LaPresse)

Rassicurare stanca

Russia, Siria, Afghanistan. Le nubi che oscurano la missione europea del capo del Pentagono

New York. Il capo del Pentagono, Ash Carter, ha iniziato la sua missione europea con un attacco alla “strategia perdente” della Russia in Siria, dove i bombardamenti “alimentano la guerra civile, mettendo a rischio ancora di più la stessa risoluzione politica e il mantenimento delle strutture di governo che dice di volere”. Un comportamento che paradossalmente va contro lo stesso interesse dichiarato da Vladimir Putin. E’ proprio lì, sulle inaccettabili contraddizioni politiche e strategiche della coalizione a trazione russa in Siria che Carter mette il dito in questo delicato viaggio europeo, che culminerà con il summit ministeriale della Nato di giovedì a Bruxelles. Carter è arrivato ieri a Madrid, poi visiterà la base di Sigonella e incontrerà a Roma il ministro della Difesa, Roberta Pinotti. Giovedì volerà in Belgio per poi concludere la missione di cinque giorni con un bilaterale a Londra. La visita arriva in un momento delicatissimo per il Pentagono e per le relazioni transatlantiche, messe sotto pressione su diversi fronti. Quando a giugno questo insider della macchina della Difesa con un basso profilo internazionale ha visitato la Germania e i paesi baltici, si trattava di rassicurare gli alleati tagliando il nastro “alla più grande attività militare coordinata dai tempi della Guerra fredda”, secondo l’enfatica sintesi di un funzionario della Difesa, e di rinnovare la solita richiesta di incremento delle spese per la Difesa dei paesi Nato. Soltanto quattro dei ventotto membri superano la soglia di spesa del 2 per cento del pil, e fra questi ci sono gli Stati Uniti e la Grecia.

 

Lo scopo di questa missione è sempre rassicurare, ma lo scenario è profondamente cambiato e il Pentagono sta attraversando enormi turbolenze, a partire dalla questione russa. La settimana scorsa il più alto funzionario della Difesa per i rapporti con l’esercito di Mosca si è licenziato al termine di una guerra politica sull’asse che congiunge il Pentagono alla Casa Bianca, circostanza che dà la misura della confusione interna. Il fallimento del programma di addestramento dei ribelli siriani, a lungo presentato innanzitutto come il frutto esclusivo della mancanza di volontà politica di Obama e del suo inner circle, ora viene anche attribuito in parte alle miopie del Pentagono. Un’inchiesta del Wall Street Journal dice che “ora i funzionari ammettono di avere sottostimato le complessità sul campo” e i primi “passi falsi del programma hanno ridotto l’influenza militare e diplomatica degli Stati Uniti  e hanno aperto una strada per l’ingresso della Russia a sostegno di Assad”. Le responsabilità dell’avanzata russa nello scenario siriano, insomma, vanno equamente ripartite, cosa che aggiunge un ulteriore peso sulle spalle di Carter in trasferta europea. Senza contare che per molti partner che il segretario incontra questa settimana la questione siriana è un’emergenza cogente e diretta, fatta di decine di migliaia di rifugiati che premono sui confini. Inoltre, il viaggio inizia nel giorno in cui gli Stati Uniti hanno ammesso di avere bombardato, su indicazione dei militari afghani, l’ospedale di Medici Senza Frontiere a Kunduz, la città di recente ripresa dai talebani e diventata subito l’esempio negativo di quello che potrebbe succedere in tutto il paese una volta che le truppe americane se ne andranno, alla fine del 2016.

 

[**Video_box_2**]I militari suggeriscono un piano di rientro più cauto di quello delineato da Obama, e dopo i fatti di Kunduz, riporta il Washington Post, la Casa Bianca sta riconsiderando la proposta che gli ha messo sulla scrivania in agosto il generale Martin Dempsey, allora capo delle Forze armate: lasciare sul campo cinquemila uomini oltre il termine previsto per il ritiro. La battaglia di Kunduz potrebbe cambiare i calcoli della Casa Bianca sull’Afghanistan e, di conseguenza, quelli di una coalizione dalla quale molti partner europei hanno mostrato e mostrano fretta di smarcarsi. Non sarà semplice per Carter dover spiegare in prima persona ciò che non sfugge a nessuno degli alleati: l’exit strategy dall’Afghanistan non è semplice come Obama l’ha dipinta. Infine, ci sono le accuse mosse ai funzionari del Pentagono di avere manomesso le informazioni sui progressi della lotta contro lo Stato islamico per rassicurare i vertici di Washington, ennesima grana che Carter si trova a dover gestire in un momento in cui gli scenari più roventi stanno cambiando rapidamente. Il fisico che insegnava a Harvard prima di costruirsi una carriera come tecnico del Pentagono ha sostituito alla guida del dipartimento Chuck Hagel, le cui richieste di agire in modo deciso contro Assad armando i ribelli sono entrate in collisione con la prudenza di Obama. Carter è stato scelto come uomo d’ordine, uno stabilizzatore capace di gestire i rapporti con la filiera politica, con gli alleati e con i ranghi militari. La realtà sta mettendo a dura prova le sua capacità manageriali.