11 settembre, a Barcellona si è celebrata la Giornata Nazionale della Catalogna (LaPresse)

La Catalogna non è la Scozia. Che cosa può cambiare (per tutti) con il voto di oggi

Carlo Lottieri
Il voto di oggi che designerà i nuovi membri della Generalitat della Catalogna (il parlamento regionale) non rappresenta in alcun modo un passaggio amministrativo.

Il voto di oggi che designerà i nuovi membri della Generalitat della Catalogna (il parlamento regionale) non rappresenta in alcun modo un passaggio amministrativo. Dopo che un anno fa Madrid ha impedito il referendum indipendentista voluto da Barcellona, il fronte favorevole al distacco della Catalogna dalla Spagna ha infatti deciso di dare un senso del tutto diverso – dal forte connotato istituzionale – al rinnovo della Generalitat. Il risultato è che tutti i partiti che propugnano l’indipendenza, da destra a sinistra, si sono accordati per dar vita a  un’unica lista, e così il governatore Artur Mas e il suo alleato Oriol Junqueras, leader  della sinistra catalanista, presentano il voto come una scelta secca tra status quo e secessione. La loro idea è che i partiti alleati di “Junts pel Sì”, in caso di vittoria, dovranno dichiarare l’indipendenza dalla Spagna e procedere a tappe forzate verso la nascita di un nuovo Stato.

 

Una cosa è chiara: a dispetto di qualche somiglianza, la Catalogna non è la Scozia. E non soltanto perché – soppesando il dare e l’avere – i catalani danno al resto della Spagna più di quanto non ricevano, dove in Scozia la situazione è rovesciata. Oltre a questo c’è molto di più. In effetti, bisogna ricordare che mentre in Catalonia il referendum indipendentista è stato ucciso nella culla, pochi mesi fa gli elettori scozzesi hanno potuto recarsi alle urne per decidere sull’ipotesi di dar vita a un paese indipendente. Undici elettori su venti hanno bocciato questa prospettiva, ma il punto è un altro: e cioè che nel Regno Unito la richiesta secessionista è stata gestita con un negoziato che, alla fine, ha permesso di consultare direttamente la popolazione. David Cameron non ha mai condiviso il progetto dello Scottish National Party di Alex Salmond, ma ha ritenuto opportuno dare agli elettori scozzesi l’ultima parola. In Spagna tutto è differente: e questo si spiega. Questi due paesi hanno culture politiche e istituzionali assai distanti. Mentre la Spagna è stata una delle culle dell’assolutismo moderno e uno dei luoghi in cui l’Europa occidentale con più determinazione ha elaborato lo Stato moderno unitario e territoriale, oltre Manica la storia ha preso una piega differente. Il mito dell’indissolubilità territoriale è più spagnolo (e francese) che non anglosassone.

 

[**Video_box_2**]Al riguardo è interessante rilevare che, in A Theory of Secession, uno dei più importanti studiosi del tema della secessione, il liberal americano Christopher H. Wellman, offra una netta difesa di tale diritto pur essendo personalmente contrario ai “divorzi politici” e auspicando che le comunità politiche non si dissolvano. Egli è contrario ai processi indipendentisti, ma non al punto da negare la facoltà dei popoli di esprimersi in materia. D’altra parte, le due rivoluzioni inglesi e quella americana hanno allargato la distanza tra il mondo di cultura inglese e l’Europa continentale. La cultura politica inglese è sempre stata in qualche modo refrattaria a ogni forma di egemonia della politica sulla società, e oltre a ciò a Londra si è spesso guardato con sospetto alla Rivoluzione francese e specialmente ai suoi esiti giacobini. Un anglosassone si trova a disagio dinanzi alla Costituzione spagnola, la quale ha due articoli – il 2 e il 10 – che mostrano una continuità con il franchismo e le sue logiche autoritarie quando autorizzano perfino il ricorso all’esercito di fronte a rivendicazioni indipendentiste. Il senso dello Stato nazionale proprio degli spagnoli, non troppo dissimile a quello dei francesi, ha poco a che fare con la tradizione del rule of law inglese, e i catalani lo sanno bene.

 

Per questo motivo il voto catalano è più importante di quello scozzese, dato che a Barcellona è in discussione una certa idea (assolutista, giacobina, nazionale) dell’ordine politico: e la ribellione guidata da Mas e Junqueras potrebbe allora trovare  echi anche in altre parti del Vecchio Continente. Forse un po’ della nostra storia a venire si deciderà oggi entro le urne catalane.

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