Donald Trump (foto LaPresse)

In America il populismo è scritto su tutti i muri, ma non dura mai

Paola Peduzzi
Niente panico. Dati alla mano, siamo ancora tranquilli

Milano. L’ultima copertina del New York Magazine è un bello choc. C’è Donald Trump con la parrucca da padre fondatore, l’aria minacciosa, e il titolo: “Donald Trump sta salvando la nostra democrazia”. Ora, sulla capigliatura di Trump si è ironizzato tantissimo: sulla rete circolano fotomontaggi di ogni tipo in cui va forte il parallelismo tra i capelli del tycoon americano e il pelo dei gatti; l’Economist ha sistemato la faccenda con una copertina in cui il parrucchino di Trump – è un parrucchino, sì? – viene calato sulla Casa Bianca: non c’è stato nemmeno bisogno di mettere la sua faccia, per dire. Ma questa versione seria, istituzionale, da grande della storia americana fa un po’ spavento: tutti a cercare di prevedere quando scoppia la bolla e ora Trump viene sdoganato come padre fondatore? Sarà uno scherzo? No, l’articolo firmato da Frank Rich, storico giornalista superliberal del New York Times passato al New York nel 2011, spiega che Trump è importante, che non sta affatto ridicolizzando la campagna elettorale americana, né distruggendo la democrazia: sta denunciando la corruzione e la falsità del sistema con una serietà inversamente proporzionale ai suoi modi, e tutti dovremo fare i conti con il suo lascito.

 

L’invasione nella politica internazionale di personaggi bizzarri – Trump è di gran lunga il più bizzarro – è un po’ preoccupante, ma niente panico. Non ancora, almeno. Se seguite l’account Twitter Past Frontrunners (@pastfrontrunners), gestito dal Washington Post, potete tirare un sospiro di sollievo. Past Frontrunners pubblica un tweet al giorno in cui mostra chi era in testa nei sondaggi nel ciclo elettorale del 2004, del 2008 e del 2012 a questo punto della campagna (i dati sono quelli di Gallup e di RealClearPolitics). Il sistema americano è scandito da appuntamenti fissi che si ripetono uguali a ogni elezione presidenziale, quindi il confronto tra i cicli passati e quello in corso è esatto. Se ora noi siamo invasi dai Trump, dalle Carly Fiorina, dai Ben Carson e dai Bernie Sanders, per nominare i più citati, allora circolavano nomi che per lo più sono stati dimenticati. Certo, nel 2008 c’era sempre nelle prime posizioni Hillary Clinton, che pur con tanti difetti almeno non è bizzarra, ma come si sa quello fu un anno tragico per la sua carriera politica. In questo preciso momento, nelle tornate presidenziali passate, stavano andando forte: il democratico Dick Gephardt nel 2004 (che stava per essere superato dall’ex generale Wesley Clark) quando George W. Bush era l’incumbent (avrebbe poi battuto l’attuale segretario di stato John Kerry); il repubblicano Rudy Giuliani nel 2008 e Hillary tra i democratici (il presidente si sa è Barack Obama); il repubblicano Rick Perry nel 2012, che quest’anno ci ha riprovato e si è già ritirato (si sarebbe imposto Mitt Romney, battuto da Obama).

 

[**Video_box_2**]Niente panico. Certo Trump resterà nel nostro immaginario più a lungo di Dick Gephardt, ma possiamo ancora dire, sulla scorta di quel che è accaduto in passato, che tutto deve ancora essere deciso, che possiamo divertirci a trovare le differenze tra un gattino rossiccio con gli occhi azzurri e Trump, ma che possiamo ancora sperare. Anche perché, come ha scritto James Neuger su Bloomberg Politics analizzando i candidati americani e i leader europei, i populisti sono molto popolari ma, al fondo, hanno poco potere.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi