I soccorsi ad alcuni fedeli rimasti coinvolti nella calca durante il pellegrinaggio alla Mecca(foto laPresse)

La strage alla Mecca mostra che l'Arabia Saudita è ancora uguale a se stessa

Daniele Raineri
La folla di fedeli è rimasta compressa a morte perché una parte non ha rispettato le indicazioni degli organizzatori

Roma. Giovedì mattina più di settecento pellegrini musulmani sono morti schiacciati in una calca alla Mecca, durante una cerimonia che ricorda la lapidazione di Satana da parte del profeta Abramo e nel primo giorno di Eid al Adha, una delle festività più sacre del calendario islamico. Milioni di fedeli arrivano nella città santa saudita in questo periodo dell’anno e senz’altra protezione che una mezza tunica bianca si lasciano guidare dalla corrente della folla, che li porta lentamente e tutti a compiere i medesimi gesti rituali. Giovedì, la folla è rimasta compressa a morte perché una parte non ha rispettato le indicazioni degli organizzatori e ha tentato di uscire controcorrente dallo stesso ingresso da cui era arrivata. E’ vietato portare nei luoghi santi telecamere e telefonini, ma alcune rare immagini mostrano i soccorritori mentre tentano di districare i vivi dai morti, che coprono la pavimentazione per decine di metri, tutti avvolti soltanto nel telo bianco.

 

Gli episodi mortali durante i pellegrinaggi alla Mecca sono frequenti, anche se di rado raggiungono le proporzioni catastrofiche di giovedì. Nel 1990 una calca simile uccise più di 1.400 pellegrini e l’ultimo grande incidente risale al 2006, più di 360 morti sempre per la solita ragione. In questi ultimi 25 anni la città santa è molto cambiata e negli ultimi dieci anni è stata riorganizzata anche per reggere questo transito veloce e intensissimo, ma le sue infrastrutture non riescono a sopportare l’onda dei fedeli e diventano una trappola. Due settimane fa durante un ennesimo lavoro di riammodernamento una gru del gruppo edile Bin Laden, il più potente del regno, è precipitata sui pellegrini e ne ha uccisi 111. I capi del gruppo sono stati convocati a corte e sono stati punti con durezza senza precedenti, che non  tiene più conto della familiarità tra i regnanti della casa Saud e la famiglia Bin Laden – tra i cui rampolli ci fu anche Osama, il fondatore di al Qaida ucciso nel 2011. Non ci saranno più contratti in futuro e alcuni membri della famiglia non possono più viaggiare all’estero.

 

[**Video_box_2**]Alcuni insider sauditi intervistati giovedì dal New York Times criticano i regnanti sauditi, che avrebbero trasformato i lavori di rifacimento della Mecca in un’occasione di arricchimento. Sono accuse vaghe per ora, ma l’impressione davanti all’opinione pubblica è che l’Arabia si presenta come un paese sempre uguale a se stesso, incapace di superare i problemi, rassegnato a riviverli e senza l’iniziativa necessaria a interrompere il ciclo degli incidenti. Riad sa di vivere una situazione eccezionale perché tutti i musulmani del mondo aspirano a fare il pellegrinaggio sui luoghi santi, e ne riceve prestigio – da cui il titolo del re, “Custode dei due luoghi santi”. E’ anche capace di proteggere i fedeli? La folla della Mecca che ogni pochi anni cammina verso la propria morte assomiglia in modo sinistro a un danno collaterale – ovvero a quelle perdite umane che sono accettate perché sono meno importanti del contesto ineluttabile in cui avvengono. Giovedì l’erede al trono Mohamed bin Nayef, che è anche il capo del comitato per l’Haj, il pellegrinaggio, ha ordinato una inchiesta sulla strage.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)