Il presidente colombiano Juan Manuel Santos e il capo delle Farc Rodrigo Londoño Echeverri si stringono la mano incoraggiati dal presidente cubano Raúl Castro all'Avana (foto LaPresse)

La Colombia e le Farc si danno sei mesi per firmare la pace

Maurizio Stefanini
Il presidente colombiano Santos e il capo delle milizie comuniste hanno annunciato dall'Avana un accordo per arrivare alla fine del conflitto armato. L'influenza di Papa Francesco e il problema degli indennizzi alle vittime

Ieri all’Avana il presidente colombiano Juan Manuel Santos e il capo del gruppo di guerriglia comunista delle Farc (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) Rodrigo Londoño Echeverri “Timochenko”, hanno annunciato che entro sei mesi firmeranno un accordo di pace dopo una guerra durata oltre cinquant’anni, che ha visto centinaia di migliaia di morti, attentati terroristici, crimini di guerra e la destabilizzazione del paese. Era da un anno che il negoziato di pace, iniziato nel 2012, si era arenato sul quarto dei cinque punti negoziali, dopo che le parti avevano raggiunto un accordo sulla riforma agraria, sulla creazione di meccanismi per l’integrazione dei guerriglieri nella vita politica e civile e su una nuova strategia di lotta alla droga (che è stata annunciata ufficialmente da Santos martedì). L’accordo è arrivato a pochi giorni dall’incoraggiamento di Papa Francesco, che in visita all’Avana aveva detto che le due parti non potevano permettersi di perdere la loro miglior occasione per la pace.

 

Il problema era quello delle vittime del conflitto, che riguarda sia la necessità di indennizzi sia la creazione di Commissioni della Verità sul modello sudafricano. Secondo l’annuncio, sarà creata una giurisdizione speciale per la pace con sale di giustizia e un tribunale speciale, con una maggioranza di magistrati colombiani integrati da giuristi stranieri. Funzione dei due organismi è “terminare con l’impunità, ottenere la verità, contribuire all’indennizzo alle vittime e giudicare e imporre sanzioni ai responsabili dei gravi delitti commessi durante il conflitto armato, soprattutto i più gravi e rappresentativi, garantendo la non ripetizione”. L’accordo garantisce alla fine delle ostilità “la amnistia più ampia possibile per delitti politici e connessi”, ma con eccezione dei “delitti di lesa umanità, genocidio e crimini di guerra, come la presa di ostaggi, il sequestro, la tortura, l’espulsione dal territorio, le sparizioni, le esecuzioni extragiudiziarie e la violenza sessuale”.

 

Saranno giudicati sia guerriglieri sia gli agenti dello Stato con due differenti tipi di procedimento: uno per chi ammette subito verità e responsabilità, con pene tra i 5 e gli 8 anni; uno per chi non lo fa, o lo fa tardivamente, con pene normali fino a 20 anni. Ma vittime e colpevole potranno di mutuo accordo stabilire forme di giustizia restaurativa alternative al carcere.

 

[**Video_box_2**]Il presidente Santos ha giocato buona parte del suo patrimonio politico sull’accordo di pace con le Farc, disconoscendo la linea della durezza sostenuta dal suo predecessore Álvaro Uribe e rischiando di perdere le elezioni per il secondo mandato l’anno scorso proprio contro un partito fondato dall’ex presidente. Ancora martedì, poco prima di partire per l’Avana, Santos predicava cautela, consapevole del fatto che il tema degli indennizzi per le vittime e delle pene per crimini di guerra continuerà a suscitare polemiche: “Non tutti saranno felici, ma sono sicuro che sul lungo periodo questa sarà riconosciuta come la scelta migliore”, ha detto. A questo punto, per porre fine a un confitto che dura da oltre mezzo secolo manca la firma dell’accordo finale, che dovrà arrivare entro marzo.