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Il punto di Orban

David Carretta
Il pariah di Budapest insiste: l’Ue non prende sul serio “la sfida dell’integrazione”. Frattura est-ovest

Bruxelles. Viktor Orban è diventato il reprobo dell’Unione europea, dopo la sua decisione di rispondere all’ondata di rifugiati che intendono entrare in Europa attraverso l’Ungheria con la costruzione di una barriera alla frontiera con la Serbia e l’uso delle forze antisommossa armate di gas lacrimogeni e manganelli. “I muri sono soluzioni temporanee” e “nemmeno la violenza è la soluzione”, ha detto ieri il commissario all’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos, suggerendo che l’Ungheria non è “dalla parte giusta della storia”. “Le cortine di ferro non sono nello spirito europeo”, ha aggiunto il commissario alla Politica di vicinato, Johannes Hahn, spiegando di essere “seriamente preoccupato che vengano nuovamente eretti muri in Europa”. David Sassoli, vicepresidente dell’Europarlamento, ha chiesto di “sanzionare” i paesi che usano la violenza contro i rifugiati. Anche agli occhi della cancelliera tedesca, Angela Merkel, Orban deve essere punito: la Germania sarebbe pronta a passare in forza contro i paesi dell’est che si oppongono alla ripartizione obbligatoria dei rifugiati proposta dalla Commissione con un voto a maggioranza qualificata nella riunione dei ministri dell’Interno dell’Ue di martedì prossimo. Eppure, in un’intervista al Figaro, il “pariah” di Budapest ha messo il dito nella piaga della reazione europea alla crisi dei rifugiati: aprendo le porte a centinaia di migliaia di musulmani si dimentica “la sfida dell’integrazione”, ha avvertito Orban. Per contro, chiudendo la frontiera con la Serbia, “l’Ungheria è stata il solo paese a prendere sul serio gli accordi di Schengen”.

 

Dal punto di vista giuridico, il rispetto delle regole europee rivendicato da Orban è discutibile: se Schengen richiede ai suoi paesi membri di impedire l’ingresso illegale di migranti, il diritto internazionale prevede anche l’obbligo di accettare i richiedenti asilo. Ma, secondo Orban, i migranti “che lasciano il Pakistan non lo fanno per disperazione”: vogliono “soltanto accedere a un miglior livello di vita”. Lasciarli entrare sarebbe un incentivo al “multiculturalismo” che un anno e mezzo fa Merkel aveva dichiarato “morto”, ha ricordato il premier ungherese. “I musulmani hanno un approccio della vita completamente diverso dal nostro. E di fronte a loro, non siamo assolutamente competitivi” dal punto di vista demografico, ha detto Orban. Non avendo risolto la sfida dell’integrazione, “se noi cristiani lasceremo i musulmani competere con noi sul continente, saremo superati numericamente. E’ matematico”. Orban ha annunciato che costruirà altre barriere alla frontiera rumena e croata per adattarsi alle deviazioni della rotta balcanica percorsa dai migranti. Nel frattempo, i dati sembrano indicare che le porte dell’Ungheria siano state effettivamente sigillate: mercoledì le autorità ungheresi hanno registrato l’ingresso di 277 migranti, contro i più di 9 mila entrati lunedì, prima dell’entrata in vigore delle leggi repressive di Orban. Per contro in Germania, il presidente dell’Ufficio per la migrazione e i rifugiati, Manfred Schmidt, ha dato le dimissioni.

 

[**Video_box_2**]Gli obiettivi di Merkel
La politica di Orban potrebbe finire sotto processo mercoledì in un Vertice straordinario dei leader convocato dal presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, su richiesta della Germania. L’obiettivo di Merkel è di placare il dissenso dei paesi dell’est che sull’immigrazione hanno osato mettere in discussione la leadership tedesca e la decisione di accogliere tutti i rifugiati siriani che presentano richiesta di asilo. Orban non è solo. Un premier socialista, lo slovacco Robert Fico, usa parole altrettanto dure del primo ministro ungherese. La Repubblica ceca, la Polonia e i Paesi baltici non sono disponibili a accettare una solidarietà obbligatoria, (al massimo solo rifugiati cristiani). La Bulgaria di Boyko Borissov è pronta a inviare mille soldati alla frontiera con la Turchia. La ribellione del gruppo di Visegrad è simbolica: la Germania è stata il grande sponsor e il principale protettore dei paesi dell’ex blocco sovietico entrati nell’Ue. Ma può essere anche salutare: dopo aver finto di non vedere una crisi “in fieri” (ignorando i ripetuti appelli dell’Italia alle prese con gli sbarchi) l’Europa ha iniziato a discutere in modo serio della questione dei migranti.

 

In realtà il dibattito rischia di essere tardivo, viste le centinaia di migliaia di persone in marcia verso l’Europa. Ma l’esito dello scontro potrebbe essere fondamentale per il futuro dell’Ue. “La crisi è politica”,  hanno spiegato in un paper Philippe De Bruycker ed Evangelia Tsourdi dell'European University Institute: “Gli Stati membri sono più divisi che mai”. Dopo la spaccatura “nord e sud” ora c’è una spaccatura “ovest ed est” e la minaccia alla libera circolazione di Schengen. Aldilà dei numeri di rifugiati da ridistribuire (i 120 mila proposti dalla Commissione non saranno sufficienti), al Vertice sarebbe necessario iniziare a discutere di strategie di lungo periodo. Sul piano interno, c’è il pericolo dell’Ue multiculturale: al muro della cristianità di Orban, Merkel contrappone l’integrazione economica dei migranti, chiedendo ai costruttori di auto di “dare opportunità di lavoro ai rifugiati”. Sul piano esterno, invece di sradicare le cause della crisi (Stato islamico e Bashar al Assad), i leader europei pensano solo a palliativi: soldi a Turchia, Libano e Giordania per tenersi i siriani nei loro campi.

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