Barack Obama nella Situation room (foto LaPresse)

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Daniele Raineri
La rivolta delle spie americane, vessate con metodi “stalinisti” per produrre buone notizie dal fronte 

Roma. Un gruppo di cinquanta analisti dei servizi segreti americani ha denunciato i superiori perché hanno manipolato i loro rapporti. Lo Us Central Command (Centcom), che comanda le operazioni militari contro lo Stato islamico in Siria e Iraq, avrebbe alterato le analisi preparate dall’intelligence per dare alla Casa Bianca e al Congresso l’impressione che la guerra è vittoriosa. L’anticipazione dello scandalo era uscita il 25 agosto grazie al quotidiano New York Times e al sito Daily Beast, ma adesso arrivano le prove, perché gli analisti hanno consegnato i rapporti truccati ad alcuni ispettori del Pentagono incaricati di investigare sul caso. Si tratta di analisi che riguardano il grado effettivo di preparazione delle forze di sicurezza irachene e il successo della campagna di bombardamenti aerei contro lo Stato islamico. Il New York Times fa capire tra le righe che le analisi riguardano anche un terzo filone: la necessità o no di inviare più “boots on the ground”, soldati americani sul campo.

 

E’ un argomento molto delicato dal punto di vista politico, perché l’Amministrazione Obama ha fatto del ritiro americano da Iraq e Afghanistan una storia di successo e ora il ritorno di truppe in Iraq sarebbe considerato un passo indietro. Secondo le indiscrezioni che circolano al Pentagono, gli altri gradi militari sono del parere opposto e pensano che sia indispensabile aumentare il numero di truppe a terra se si vuole ottenere risultato effettivi (ieri è uscita la notizia che forze speciali americane sono in Siria assieme ai curdi). La conseguenza è che gli analisti d’intelligence descrivono un clima avvelenato, con pressioni “staliniste”, in cui le loro conclusioni sono manipolate o in cui loro stessi si rassegnano ad adattare i loro rapporti in conformità al clima dominante o a dimettersi. In questo modo viene meno il primo requisito delle analisi d’intelligence: devono essere veritiere e de-politicizzate, perché le decisioni spettano ai politici e per prenderle c’è bisogno di informazioni accurate. Al punto che le differenze di analisi tra uomini dei servizi sono incoraggiate, come pure le competizioni tra diverse scuole di pensiero. La regola base è: non si truccano le conclusioni per condizionare i lettori (in questo caso anche il presidente Barack Obama). Secondo il Daily Beast, il caso è “una rivolta” degli analisti dei servizi.

 

[**Video_box_2**]Entrambe le questioni citate dal New York Times tradiscono una distanza enorme tra aspettative alte e realtà penosa. Le forze di sicurezza irachene hanno un grado di efficienza vicino allo zero a dispetto dei miliardi di dollari investiti dagli americani. Dopo sei mesi non sono ancora riuscite – per fare un esempio – a circondare la città di Ramadi, caduta nelle mani dello Stato islamico a maggio, sebbene il primo ministro Haider al Abadi avesse promesso che i soldati l’avrebbero ripresa “nel giro di giorni”. La campagna aerea che avrebbe dovuto smantellare lo Stato islamico e aiutare la guerra di terra sta per compiere un anno, senza risultati significativi. Il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi non ha perso terreno, la sua catena di comando è più o meno intatta e mostra appena un po’ meno baldanza sul campo, per esempio: non c’è stato video califfale in occasione del mese sacro di Ramadan.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)