Bashar el Assad e Vladimir Putin

Che ci va a fare Putin in Siria?

Paola Peduzzi
I russi, i minacciosi “incidenti involontari” e il controllo di Damasco.

Milano. Su una cosa gli americani e i russi sono d’accordo, seppure in modo implicito e non coordinato: la legittimazione dell’Iran degli ayatollah. L’America di Barack Obama ha modellato la sua dottrina di politica estera – che dottrina non è, è una somma di pragmatismi miopi ed emergenziali – sull’apertura a Teheran e sulla possibilità di chiudere, con un accordo che ancora deve mostrare la sua praticabilità, un conflitto durato trent’anni. La Russia di Vladimir Putin invece utilizza l’asse con l’Iran per consolidare la sua strategia di influenza in Siria e in medio oriente. Mosca ha sempre fatto così: ha fatto affari diretti con Teheran, costruendo i reattori atomici quando era necessario, sospendendo i lavori quando era utile, fornendo armamenti e cercando di governare una transizione alla guida della Siria. Se con il deal gli ayatollah vogliono al fondo prendersi il tempo di costruire l’ambita bomba atomica, tenendo a bada le ingerenze occidentali per i prossimi dieci anni, non è certo un problema di Putin. Il quale, essendo già ben posizionato in termini di antioccidentalismo, al momento vuole consolidare la sua presenza in Siria perché tiene al suo unico sbocco sul Mediterraneo e perché sa – lo sappiamo anche noi, ma facciamo finta di no – che non si possono cambiare le dinamiche interne unicamente bombardando dall’alto. Putin è in Siria per restare, e se la Russia è sulla carta un interlocutore ben più agibile di Teheran o di Damasco, è piuttosto improbabile che sia disposta ad ascoltare le istanze occidentali – anzi, al momento Mosca ha detto agli americani: parlate con noi della strategia in Siria, se non volete incappare in “incidenti involontari”. Putin vuole definire le regole: quando un anno fa esatto Obama annunciò l’inizio dei raid della coalizione internazionale contro lo Stato islamico, il capo del Cremlino definì gli attacchi “illegali” e “un atto di aggressione”. Sono tutto a un tratto diventati legali, agli occhi dello zar? O forse Putin vuole decidere la strategia di tutti?

 

La coalizione dei volenterosi costruita da Putin assieme ai pasdaran iraniani, Hezbollah e Bashar el Assad punta innanzi tutto a tenere in piedi il regime di Damasco. Lo ha detto Putin, quando ha parlato di “aiuti umanitari” e di stabilizzazione del conflitto: basta guardare la cartina geografica – vedere dove sta Latakia, vedere le forze che ci sono attorno: i ribelli o quel che è rimasto di loro, non certo lo Stato islamico – per sapere che il primo nemico  che il boot on the ground russo incontrerà sulla sua strada non è un  jihadista affiliato allo Stato islamico. Nella regione di Latakia – il feudo storico degli Assad – c’è uno dei fronti più importanti della guerra civile siriana ed è a presidio di questo fronte che Putin è arrivato con il suo esercito (tralasciamo l’assedio di Aleppo, sul quale in realtà ci sarebbe da dire, perché sulle decine di chilometri di fronte che Assad condivide con lo Stato islamico non è stato sparato un colpo, e questo dice molto sulla lotta che il dittatore fa ad al Baghdadi).

 

[**Video_box_2**]Dal punto di vista diplomatico, Putin ripete con una certa insistenza che a Damasco bisogna costituire un governo di unità nazionale – è aperto un tavolo di negoziato a Mosca per questo, parallelo a quello onusiano, e Assad sbraita – e secondo alcuni la Russia potrebbe già avere un’idea di come governare la transizione: a Putin interessa soltanto la stabilità, se Assad la sa garantire bene, se invece non è in grado andrà trovata un’alternativa. Intanto i russi si posizionano e occupano una porzione di Siria – e a differenza di quel che capita in occidente non sono costretti a giustificarsi con l’opinione pubblica in piazza o annunciare già una data di ritiro. Possono al limite replicare il modello turco: attacchiamo lo Stato islamico!, ha detto Recep Tayyip Erdogan, ma se si vanno a vedere i circa 150 raid fatti da Ankara nel frattempo, si scoprirà che più del 90 per cento di questi ha colpito obiettivi curdi. Così Putin colpirà chiunque sia ostile ad Assad.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi