Proteste contro il governo di Otto Pérez Molina in Guatemala (foto LaPresse)

Il Guatemala alle prese con lo scandalo corruzione

Maurizio Stefanini
La Commissione internazionale contro l’Impunità è riuscita a mettere sotto scacco il governo guatemalteco di Otto Pérez Molina.
La Commissione internazionale contro l’Impunità in Guatemala (Cicig) è l’organismo Onu che sarebbe dovuta essere presieduta da Antonio Ingroia. E’ un’istituzione unica al mondo, con la quale il Guatemala, attraverso un accordo con le Nazioni Unite firmato il 12 novembre 2006 e poi approvato dalla Corte costituzionale nel maggio del 2007 e ratificato dal Congresso il primo agosto del 2007, ha acconsentito a commissariare il proprio screditatissimo sistema giudiziario, affidandolo alla supervisione di un organismo esterno. Quest’unicum legislativo è riuscito a mettere sotto scacco il governo guatemalteco, alla faccia di Ingroia che in Guatemala non disfò neppure le valigie e se tornò in patria per ributtarsi nella politica italiana e non combinare niente.

 

Ingroia a parte in Guatemala la situazione è paradossale. E non solo per l’eccezionalità di un istituto come la Cicig. Nei giorni scorsi migliaia di persone sono scese in piazza per chiedere le dimissioni del presidente Otto Pérez Molina, che si è barricato nel suo palazzo. Tutto ciò a pochissimi giorni da quelle elezioni generali del 6 settembre che in ogni caso porranno fine al suo mandato (anche se il passaggio di consegne sarà il 12 gennaio). Il motivo di queste proteste è giudiziario: “Venerdì il ministero pubblico e la Cicig hanno fatto segnalazioni gravi che pretendono vincolarmi con il caso conosciuto come ‘La linea’”, ha detto il presidente in un messaggio al paese, sottolinenando la sua volontà di non dimettersi. Si tratta di uno schema di tangenti per non far pagare le imposte doganali, che sarebbe costato al fisco guatemalteco 7,6 milioni di dollari. “Hanno sollecitato un giudizio preliminare contro la mia persona. Di più: mi indicano come il capo della struttura. Dichiaro categoricamente che rifiuto il mio collegamento con la stessa e di aver ricevuto alcun denaro da questa operazione di defraudamento doganale. La mia coscienza in questo senso è tranquilla”, ha continuato.

 

Il bello è che Otto Pérez Molina, ex-generale esperto di intelligence e controguerriglia, quattro anni fa si era candidato proprio promettendo “mano dura, cabeza y corazón” contro la corruzione e il crimine organizzato. Mano dura, testa e cuore: un riferimento anatomico che voleva alludere soprattutto a una promessa di tolleranza zero. Invece una volta eletto si è soprattutto segnalato per la sua proposta di legalizzare la droga, per l’incapacità di combattere indici di violenza che sono rimasti altissimi, e per gli scandali a catena che hanno colpito il suo governo. Da aprile le proteste di piazza contro la corruzione sono continue. Venerdì è stata arrestata la ex-vicepresidente Roxana Baldetti, che si era dimessa a maggio. Sabato si sono dimessi il ministro dell’Economia Sergio de la Torre e quello dell’Educazione Cynthia del Aguila. Domenica quello dell’Agricoltura  Sebastián Marcucci e quello della Sanità Luis Enrique Monterroso. Lunedì quello delle Finanze Dorval Carias e quello delle Comunicazioni Víctor Corado.E martedì la Corte Suprema ha chiesto l’incriminazione del presidente.

 

A suscitare il rimpianto di Ingroia potrebbe essere anche l’informazione che lo scandalo è stato scoperto dalla Cicig attraverso ben 86.000 intercettazioni telefoniche. Nonostante questo giovedì il Congresso ha rifiutato di togliere al Presidente l’immunità. Pérez Molina si difende chiamando in causa il ruolo corruttore degli imprenditori, con conseguente ira della Cacif, la Confindustria locale.

 

[**Video_box_2**]La ricandidatura presidenziale è comunque vietata dalla Costituzione. Anzi, è vitata anche la candidatura di congiunti, e quando nel 2011 l’allora first lady Sandra Torres Casanova divorziò consensualmente dal marito, il presidente uscente Álvaro Colom Caballeros, la sua candidatura fu annullata per “frode alla legge”. Stavolta può invece correre, ma i sondaggi non la danno oltre al terzo posto. Inconsistente la candidatura di Mario David García Velásquez, giornalista e economista sostenuto dal Partito Patriota di Pérez Molina, i due principali sfidanti appaiono l’imprenditore Manuel Baldizón Méndez e l’ex-attore e presentatore televisivo Jimmy Morales. Entrambi sono esponenti della sempre più importante comunità protestante, ed entrambi hanno un profilo pesantemente populista. Il primo fu il candidato sconfitto da Pérez Molina alle passate elezioni. Il secondo potrebbe essere considerato un omologo di Grillo in Guatemala.

Di più su questi argomenti: