Jeremy Corbyn (foto LaPresse)

“Se vince Corbyn ci sarà un golpe nel Labour”, ci dice l'ex consigliere di Blair

Cristina Marconi
Mark Leonard spiega al Foglio come può cambiare il partito laburista nel Regno Unito. E parla di "trauma generazionale"

Londra. L’elezione, ormai probabile, di Jeremy Corbyn alla guida del Labour non è un ritorno alle vera anima del partito, bensì una radicale negazione della sua storia recente. E ne mette a repentaglio l’esistenza stessa. Perché la direzione presa negli ultimi 20 anni dalla sinistra britannica non è nata da un capriccio del perfido Tony Blair, ma dal semplice dato di fatto che il partito perdeva sempre e soprattutto aveva perso le elezioni del 1992, quelle che tutti pensavano avesse in tasca con Neil Kinnock. Un trauma indelebile per una certa generazione, secondo Mark Leonard, uno che a 23 anni nel 1997 ha segnato un’epoca con la sua definizione di ‘Cool Britannia’ ed era tra i consiglieri più ascoltati di Blair. E che oggi è sgomento ma non del tutto stupito, perché sono anni che di consiglieri ragazzini non se ne vedono e la questione generazionale, nella vicenda Corbyn, sta contando molto.

 

“Insieme a Liz Kendall è l’unico candidato ad avere dimostrato un po’ di energia” e questo, unito al fatto che il sistema di voto è stato cambiato e che con 3 sterline e un po’ di controlli chiunque può votare, gli ha dato credibilità presso le ultime generazioni, per le quali l’Iraq nel 2003 e la crisi nel 2007-2008 sono stati gli eventi fondanti. “Non capiscono che Corbyn viene da un’epoca di errori. E’ una sorta di reperto criogenizzato della generazione precedente, conservato così bene che si è candidato” e che ora “rappresenta una minaccia esistenziale” per il partito, perché “almeno Syriza e Podemos si sono costruiti organizzazioni politiche apposta per fare protesta, mentre per noi accade tutto in casa”, spiega Leonard, che ora dirige l’European Council on Foreign Relations. Venerdì Corbyn ha annunciato che dopo il 12 settembre, se sarà eletto, presenterà le scuse ufficiali del partito per la guerra in Iraq. “Una ferita ancora aperta, non c’è dubbio”, prosegue Leonard e gli fa eco John Springford, senior research fellow del Cer, altro think tank di successo di Londra, altro gruppo di studiosi perplessi dagli eventi di questa estate piovosa. “Non si ripeterà mai abbastanza quanto l’Iraq sia stato un problema per gli elettori laburisti”, osserva, “anche perché ha dato l’occasione ad una parte del partito di distaccarsi da un Tony Blair che avevano sempre visto con perplessità”. E ha azzerato la fiducia degli elettori, tanto che neppure Ed Miliband è riuscito a risanare il vulnus, mentre i risultati della commissione d’inchiesta Chilcot sulla guerra continuano a farsi attendere. Ma ora di ferite rischiano di aprirsene altre, perché “Corbyn è ineleggibile e condannerà il partito all’ineleggibilità” e ci vorranno anni per riprendersi da questo flirt degli elettori con l’irrilevanza.

 

[**Video_box_2**]Ma all’interno del Labour una reazione ci sarà, ne sono entrambi certi. “La situazione futura sarà molto instabile, ci sarà una scissione oppure un golpe. Succederà, per forza, magari non subito”, spiega Leonard, perché come aggiunge Springford “subito sarebbe visto come antidemocratico”. Il momento giusto sarà il maggio 2016 quando ci saranno le elezioni in Scozia, in Galles e a Londra. Per non parlare del referendum Ue. “Occorre dimostrare che non può vincere, dopodiché sì, ci sara’ un golpe”, per Springford. Dopo il bagno di sangue del voto di maggio, da cui “non si può certo dedurre che il Labour abbia perso perché troppo a destra”, l’analista del Cer sottolinea come il partito si sia preparato da solo il cappio cambiando il sistema di elezione dei suoi leader e lasciando al tempo stesso andare avanti tre candidati senza particolare appeal. “Blair era un liberale, non sempre di sinistra, ma credeva fino in fondo a quello che diceva, e queste sono cose che gli elettori sentono”, prosegue Springford. “Ormai in politica si è fatto largo questo concetto di purezza, con i sindacati che hanno preferito ad un certo punto votare Verde invece che contare”, aggiunge. E poi si torna al coinvolgimento dei giovani. Per Leonard il Labour non ha capito che “non serviva cambiare le dosi, bisognava cambiare la strategia” per portare i ventenni dalla propria parte. “Il loro mondo è diverso, loro mica lo sanno cosa rappresenta Corbyn”. Ma non staremo mica ragionando per ipotesi, visto che l’ultima volta i sondaggisti non hanno capito niente? “Si’, ma le agenzie di scommesse non sbagliano, e danno Corbyn vincente”.

Di più su questi argomenti: