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La guerra s'allarga. Attendendo la Libia

Redazione
L’Australia raddoppia contro Baghdadi, la Coalizione si riorganizza. Ieri il governo Abbott ha fatto sapere che il governo americano ha chiesto l’impiego dei sei caccia australiani di stanza a Dubai per bombardare lo Stato islamico in Siria.

Ieri l’Australia ha fatto sapere che il governo americano ha chiesto l’impiego dei sei caccia australiani di stanza a Dubai per bombardare lo Stato islamico in Siria. Da ottobre scorso i caccia australiani bombardano gli estremisti nel nord dell’Iraq, ma il governo di Canberra si è rifiutato di colpire anche in Siria, dove per ora bombardano soltanto gli Stati Uniti e quattro paesi islamici: Arabia Saudita, Bahrein, Giordania ed Emirati Arabi Uniti. Il motivo è che non c’è una base legale chiara, senza  un invito esplicito del governo del presidente Bashar el Assad oppure un mandato delle Nazioni Unite. Il primo ministro australiano, Tony Abbott, ha però detto che da ieri la richiesta è presa in considerazione. Se accadrà, sarà il segno che la Coalizione internazionale sta diventando fluida per adattarsi alla realtà di un nemico che infesta fronti lontani tra loro: l’ultimo a diventare attivo è la città di Sirte, in Libia.

 

Questo è lo scenario che ci si para davanti, come spiegato anche ieri sul Foglio: se entro ottobre non ci sarà un compromesso politico in Libia, la Coalizione dovrà spartirsi i settori d’operazione e gli incarichi, per non dare tregua agli estremisti anche nel terzo settore – quello nordafricano – assieme a un altro alleato islamico, il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi. Del resto loro, i jihadisti, hanno già lasciato cadere le distinzioni tra stati e l’idea che esistano confini nazionali e pervertono l’idea internazionale di Umma sostenendo di agire in nome di tutti gli islamici. Per affrontarli, è il minimo che si formi una Coalizione internazionale, con partner locali, meno impacciata da vincoli formali.

 

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