La foto di un raid israeliano in Siria lo scorso gennaio (foto LaPresse)

Israele non bombardava così la Siria da quarantadue anni

Daniele Raineri
La Siria ha sparato quattro razzi contro Israele dalla zona di Quneitra, sulle alture del Golan, e non succedeva dalla guerra del 1973. Israele ha risposto con un bombardamento d’artiglieria in una fascia di territorio che è controllata dall’esercito di Damasco. E’ il bombardamento contro la Siria più intenso da quattro decenni

Roma. A due anni esatti dalla strage con il gas nervino alla periferia di Damasco in cui morirono 1.400 civili siriani, si combatte su uno dei fronti che fino a oggi era rimasto calmo o quasi. Venerdì la Siria ha sparato quattro razzi contro Israele dalla zona di Quneitra, sulle alture del Golan, e non succedeva dalla guerra del 1973. Israele ha risposto nel giro di poche ore con un bombardamento d’artiglieria contro quattordici postazioni in territorio siriano, tra i dieci e i quindici chilometri oltre il confine, in una fascia di territorio che è controllata dall’esercito di Damasco. E’ il bombardamento contro la Siria più intenso da quattro decenni, considerato che negli anni scorsi ci sono stati colpi di mortaio partiti dal lato siriano e che Israele ha cominciato a colpire oltre confine a partire dal febbraio 2013, per bloccare i trasferimenti di armi sofisticate verso il gruppo libanese Hezbollah.

 

Il comando israeliano dice ai media che a sparare i quattro razzi non è stato l’esercito siriano, ma la sezione palestinese della forza al Quds iraniana, “anche se consideriamo la Siria responsabile di cosa succede in quella zona”. L’attacco “è stato pianificato da Saeed Izadi”, il capo della sezione. “E’ il loro modo di dire: sapete che siamo stati noi, ma l’uso dei razzi prova che siamo stati proprio noi”, dice un ricercatore del Washington Institute, Nadak Pollak, al sito israeliano Times of Israel. “Se fossero stati colpi di mortaio si sarebbe potuto pensare a qualche proiettile vagante”, finito al di qua del reticolato per errore. E’ stato questo elemento dell’intenzionalità a provocare la risposta israeliana così intensa. La forza al Quds è il reparto iraniano che si occupa delle operazioni speciali all’estero e agisce grazie all’appoggio e alla presenza di milizie locali. In questo caso secondo l’esercito israeliano si trattava di quattro uomini del Jihad islamico, un gruppo palestinese di Gaza che ha il suo quartier generale a Damasco. Del resto non c’è gruppo islamista della regione che negli anni recenti non abbia fatto base in Siria, come Hamas e Hezbollah (e pure il Pkk, che non è islamista). Anche lo Stato islamico che distrugge monasteri vicino Damasco e filma esecuzioni di massa a Palmira ha usato la Siria come una retrovia sicura con l’appoggio deliberato del governo del presidente Bashar el Assad tra il 2003 e il 2009.

 

Venerdì mattina nella stessa area un drone israeliano ha colpito e ucciso quattro uomini a bordo di una macchina, che si pensa fossero legati all’attacco con razzi della sera prima. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato le dichiarazioni dell’esercito, a proposito della responsabilità dell’Iran agevolato dall’alleanza con la Siria. Il ministro della Difesa, Moshe Yaalon, dice che l’attacco non è che un assaggio di quello che verrà ora che l’Iran sarà liberato dalle sanzioni internazionali e quindi avrà più fondi a disposizione per finanziare le operazioni in medio oriente.

 

[**Video_box_2**]Come per l’attacco con il gas nervino di due anni fa, anche questa politica aggressiva sul confine nord di Israele per ora è condonata al rais Assad perché la situazione nel paese è bloccata da una serie di fattori. Il primo su tutti è l’espansione dello Stato islamico in numerose aree (anche se la prima città effettivamente conquistata dallo Stato islamico in Siria è Palmira, nel maggio di quest’anno; per due anni il gruppo ha combattuto assai di rado Assad, e combatteva invece contro le fazioni dell’opposizione armata).

 

Infragilito dalla guerra civile, il governo di Damasco non ha bisogno di aprire un fronte con Israele, che tiene sempre aggiornata una lista di bersagli da colpire in Siria, ha i mezzi per reagire e ha pochi vincoli politici – al contrario della Coalizione internazionale che con Damasco mantiene una tregua. Ma Damasco non può fare altrimenti che seguire le disposizioni di Teheran, perché ha bisogno dell’alleanza.

 

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)