Botti a mandorla

Giulia Pompili
Il pol. corr. dei college americani che trasforma in bamboccioni tutti quanti, tranne gli asiatici. La generazione universitaria sta modificando perfino il linguaggio, eliminando tutte le idee e le parole che potrebbero far sentire chiunque a disagio. E’ un rammollimento delle menti americane, dice l’Atlantic.

Roma. In una delle puntate di “Fresh off The Boat” – la serie tv della Abc ispirata all’omonimo libro di Eddie Huang e che racconta la storia di una famiglia taiwanese a Orlando – la madre di Eddie, Jessica, mamma tigre per eccellenza, si trova alle prese con le “aggressioni sessuali”. Nella chinatown di Washington non ne aveva mai sentito parlare. A Orlando non c’è una comunità cinese quindi lei si annoia, a volte se ne sta sul divano, guarda la tv e assimila le paranoie occidentali. Sono gli anni Novanta, e ancora il significato di “aggressione sessuale” non è troppo esteso. Ma l’espressione colpisce così tanto la mamma tigre che a un certo punto indossa una maglietta con scritto “no means no” e, terrorizzata dall’aver sbagliato qualcosa nell’educazione del figlio undicenne (colpevole di avere deboli istinti adolescenziali), finisce per picchiarlo con un peluche: “Ti piace? Beh, nemmeno alle ragazze piace! Devi rispettare le ragazze!”. Quando conduce un corso sulle aggressioni sessuali per i dipendenti del suo ristorante, Jessica terrorizza i suoi alunni, che smettono pure di respirare per non sbagliare. E’ – più o meno – quello che sta succedendo nei college americani dove la “paranoia sessuale” ha raggiunto il limite del ridicolo. La serie tv è romanzata, ma gli autori sono riusciti a condensare tutti i tic e le contraddizioni della nuova generazione di americani.

 

La storia di copertina del numero di settembre dell’Atlantic è un lungo articolo firmato da Greg Lukianoff e Jonathan Haidt che spiega come la generazione universitaria stia modificando perfino il linguaggio, eliminando tutte le idee e le parole che potrebbero far sentire chiunque a disagio. E’ un rammollimento delle menti americane, dice l’Atlantic, i giovani crescono nei college viziati, coccolati, tenuti al riparo da tutto quello che succede nella vita reale (il bullismo, le avance dei polipi – vedi articolo qui sopra – la droga – vedi articolo qui a fianco). Il tutto per preservare il benessere “emozionale” delle menti dei giovani: “Due termini sono venuti fuori rapidamente dall’oscurità del gergo dei campus. Le microaggressioni sono piccole azioni o la scelta di parole che sembrano apparentemente innocue ma che possono essere vissute lo stesso come una sorta di violenza. Per esempio in alcune linee guida dei campus è considerato microaggressione chiedere a un asiatico-americano o a un latinoamericano ‘dove sei nato?’, perché questo vorrebbe dire che non è un vero americano. Trigger warnings sono gli avvisi che i professori sono tenuti a dare se qualcosa durante il corso potrebbe causare una forte risposta emotiva”, come la lettura di alcuni romanzi, tra cui “Il Grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald, “che rappresenta la misoginia e la violenza fisica”. Non è un caso però che gli asiatici americani, la cui cultura educativa è tradizionalmente l’esatto contrario del “coccolare” americano, vengano forzati a vivere le folli regole del sistema scolastico americano ma siano le vere prime vittime delle microaggressioni.

 

[**Video_box_2**]Meno badmington, più football
L’espressione bamboo ceiling l’ha inventata Jane Hyun, executive coach e ricercatrice della Cornell, in un libro di dieci anni fa, in cui descrive il tetto oltre il quale nessun asiatico, per quando altamente formato sia, può arrivare. Il razzismo, per gli asiatici americani, convive benissimo con la dittatura del politically correct. Nel gennaio scorso il Boston Globe ha portato alla luce il problema dei college americani e delle “quote asiatiche” di studenti. Brian Taylor, direttore dello studio Ivy Coach di Manhattan, ha spiegato che per aiutare le famiglie americane di origini asiatiche a far entrare i propri figli nei college elitari l’unico modo è “far sembrare i ragazzi meno asiatici”. Nel maggio scorso una class action contro Harvard e la Ivy League ha bersagliato i college colpevoli di accettare meno studenti asiatici basandosi su pregiudizi razziali. Anche la Asian advantage college consulting aiuta i giovani durante il liceo a prepararsi per il college: “Le commissioni vedono persone tutte identiche: risultati dei test molto alti, molti strumenti musicali suonati e nessun interesse per l’esercizio fisico e il football”, ha detto al Boston Globe il direttore James Chen, “se gli studenti vengono da me e vogliono passare i test per i college d’élite gli dico subito di cambiare strumento musicale e di iniziare a giocare a pallone. E soprattutto di non parlare della famiglia venuta dal Vietnam in barca con un biglietto da due dollari e poi nuotando tra gli squali”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.