Jeremy Corbyn (foto LaPresse)

Il gracchiar del Corbyn

Redazione
Il leader Labour che piace troppo pare Tsipras. Cameron gongola. Dopo la disastrosa campagna elettorale di Ed Miliband, piena di retorica anti business e anti austerity, il partito laburista si è paradossalmente spostato su un asse ancora più anti capitalista.

Giovedì nel Regno Unito è l’ultimo giorno disponibile per iscriversi al Labour e poter partecipare all’elezione del nuovo leader del Partito che si concluderà il 12 settembre. In testa c’è Jeremy Corbyn, della sinistra radicale. Secondo l’ultimo sondaggio di YouGov è dato vincente al primo turno con il 53 per cento, oltre il 30 per cento in più del concorrente più vicino. I più entusiasti per l’esplosione della “Corbynmania” sono i sindacati con in testa “Red Len” McCluskey, il leader di Unite, e il premier David Cameron, che con un avversario come Corbyn garantisce ai Tory un’altra facile vittoria alle elezioni del 2020.

 

Dopo la disastrosa campagna elettorale di Ed Miliband, piena di retorica anti business e anti austerity, il partito laburista si è paradossalmente spostato su un asse ancora più anti capitalista, sotto la pressione di sindacati e nuovi iscritti che si ispirano a Podemos e Syriza, nella convinzione che Miliband non fosse abbastanza “rosso”. Il programma di Corbyn sembra uscito dagli anni 70 o da un film di Ken Loach: espulsione dei privati dalla Sanità, aumento della spesa e della tassazione sui ricchi, nazionalizzazione delle ferrovie e delle compagnie energetiche, perfino la riapertura delle miniere di carbone chiuse dalla Lady di ferro. In politica estera si ritiene amico di Hamas, Hezbollah e vuole portare il Regno Unito fuori dalla Nato. Una marcia indietro totale rispetto alla svolta liberale di Tony Blair. Il rischio è che il Labour si distanzi troppo dalle richieste dell’elettorato. Corbyn vuole spingere il partito in una nicchia chiassosa e Cameron e i Tory non possono che augurarsi che vada avanti e si schianti. Di Miliband, in peggio.