Il Mullah Omar (foto LaPresse)

Il romanzo del Mullah Omar morto mille volte. In questa a godere è il suo rivale: al Baghdadi

Daniele Raineri
Può darsi che ieri il capo supremo dei talebani abbia ascoltato l’ennesima notizia della sua morte più vivo che mai, mentre addentava uno di quei kebab peculiari che vanno fra la sua gente pashtun. Se il Mullah Omar è morto ufficialmente allora il governo afghano ha servito allo Stato islamico un assist prezioso

Può darsi che ieri il capo supremo dei talebani abbia ascoltato l’ennesima notizia della sua morte più vivo che mai, mentre addentava uno di quei kebab peculiari che vanno fra la sua gente pashtun: carne trita d’agnello, aglio, cipolla, zenzero, menta, pepe nero, uova, una pietanza più pericolosa della tubercolosi che se lo sarebbe portato via questa volta, secondo fonti locali rimbalzate in tutto il mondo e che però non sapevano dire con precisione quando sarebbe successo. “Due oppure tre anni fa”. Poche ore dopo il governo afghano si è esposto con una conferma ufficiale: il Mullah è morto nell’aprile 2013 in un letto d’ospedale a Karachi, megalopoli sulla costa sud del Pakistan, e questa notizia è imbarazzante per i pachistani – che già ospitarono Bin Laden. A loro insaputa. Come sono andati davvero i fatti lo sanno soltanto in alcuni circoli esclusivi, per esempio la leadership dei talebani oppure i generali dell’intelligence pachistana – che si dice abbiano ospitato Omar per mesi in una caserma di Quetta – e forse anche qualche orecchio lungo della Nsa. Tutti gli altri devono accontentarsi della conferma di Kabul, tranne un paio di redazioni italiane che ieri trillavano la notizia con ore di anticipo come se avessero visto il cadavere: “Il Mullah Omar è stato ucciso”.

 

Se il Mullah Omar è morto ufficialmente, e quindi non esiste più nemmeno in quel limbo irraggiungibile da dove mandava messaggi radi e dove i droni americani non arrivavano, allora il governo afghano ha servito allo Stato islamico di Abu Bakr al Baghdadi un assist prezioso. La morte di Omar ha un peso dirimente nelle questioni del jihad. I baghdadisti sostengono che tutti i combattenti dovrebbero giurare fedeltà al loro capo, l’iracheno Abu Bakr. I loro avversari dicevano invece che il giuramento andrebbe sempre fatto all’afghano Mullah Omar, come fecero i capi di al Qaida, prima Osama bin Laden e poi il successore Ayman al Zawahiri. Questa catena di comando stabilita dai giuramenti (in arabo: bayat) è presa molto sul serio e arriva lontano. Per esempio ci sono jihadisti in Siria che hanno giurato fedeltà al loro capo, che a sua volta ha giurato fedeltà a Zawahiri, che nascosto da qualche parte ha giurato fedeltà al Mullah Omar.

 

I jihadisti della vecchia scuola, quelli di Omar, citavano pure un hadith, un detto del Profeta: “Se due persone sostengono entrambe di essere il capo dei fedeli, la seconda dev’essere uccisa” (entrambi, Omar e Baghdadi, reclamano il titolo di amir al mu’minin, comandante dei fedeli). Come a dire: al Baghdadi è un impostore, il capo vero è sempre Omar. L’ultimo numero di Dabiq, la rivista in inglese dello Stato islamico, risponde con sette pagine per spiegare che “il Mullah Omar è soltanto un leader locale” e che gli afghani devono abbandonarlo e giurare fedeltà ad Abu Bakr al Baghdadi, che discende dalla giusta linea di sangue. Sembrano questioni dottrinali e astratte, ma in questi mesi lo Stato islamico ha lanciato una scalata ostile per intestarsi il jihad in Pakistan e Afghanistan e i suoi uomini stanno aggredendo i talebani (per ora sono stati respinti con perdite, i talebani li hanno trattati come ragazzini: scansatevi, che noi qui si fa la guerra da un decennio contro la Nato).

 

[**Video_box_2**]Se Omar è morto nell’aprile 2013, si aprono questioni imbarazzanti. Chi ha scritto in questi anni i comunicati a suo nome? I talebani hanno fatto finta che fosse vivo per tutto questo tempo? Al Qaida ne esce male: l’anno scorso annunciò ai musulmani di avere rinnovato il suo giuramento al Mullah – già deceduto. Di sicuro i baghdadisti stanno decidendo come sfruttare questa notizia a scoppio ritardato.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)