Perché l'Europa ha bisogno di una "buffer zone" in Turchia

Maurizio Stefanini
Chiacchierata con il capo della pianificazione del miniserto degli esteri turco, prima del vertice della Nato

“Ormai la situazione non era più sostenibile. Creare una zona cuscinetto è l’unica soluzione possibile”, dice al Foglio Altay Cenziger, spiegando la strategia della Turchia nella guerra, appena iniziata, contro lo Stato islamico in Siria. Cenziger è il direttore generale della Pianificazione presso il ministero degli Esteri turco, è appena stato in Italia, a Trento, per partecipare alla XII Edizione del Workshop annuale di geopolitica ed economia internazionale del think tank e rivista Nodo di Gordio, e al Foglio dice che la “buffer zone”, la zona cuscinetto che è stata per anni discussa all’interno della Nato, “è una necessità che dovremmo spiegare a nostri alleati”. La Turchia ha chiesto la convocazione di una riunione della Nato, prevista per domani, il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavusoglu, ha indicato nella creazione di questa zona cuscinetto l’obiettivo strategico dell’operazione; il premier Ahmet Davutoğlu ha detto di essersi consultato con il presidente del Kurdistan iracheno, Massud Barzani, ottenendone comprensione e solidarietà. Il governo turco ha anche mandato una lettera all’Onu, spiegando chiaramente che il governo siriano non ha la capacità di difendere il territorio; e da ultimo di nuovo Davutoglu ha dichiarato che l’intervento sta “cambiando il gioco regionale”, accelerando il processo che dovrebbe portare alla caduta del rais siriano Bashar el Assad, e che la Turcha è pronta a collaborare con i curdi siriani del Pyd.

 

“Avevamo raggiunto i nostri limiti”, spiega ancora Altay Cenziger. “L’immigrazione incontrollata crea problemi in tutti i paesi, anche voi in Italia ritenete di aver oltrepassato un limite con 40 mila rifugiati. Immaginate che significa per la Turchia riceverne due milioni. Così una zona cuscinetto è una reazione obbligata di fronte a questa tragedia umana. Ma abbiamo anche il dovere di combattere gli elementi radicali che costituiscono un pericolo per la nostra società:  e quando dico nostra non mi riferisco solo alla società turca, ma in generale a tutta la società europea e medio-orientale. Siamo il paese di confine dell’Europa, e l’Europa deve comprendere la nostra necessità di agire nell’interesse di tutti”.

 

Questo riferimento alla Turchia come antemurale d’Europa è importante perché Altay Cenziger oltre che diplomatico di carriera è anche storico. Da ambasciatore in Irlanda si occupò di ricostruire il modo in cui ai tempi della grande carestia della patata nell’800 il governo del sultano si fosse preoccupato di soccorrere gli irlandesi affamati. Più di recente a un secolo dalla Grande Guerra ha scritto un libro sulla Turchia nella Prima Guerra Mondiale, in cui spiega la guerra dell’Impero Ottomano come una scelta obbligata.  “Alla Turchia non fu data alternativa”, è la sua tesi. “Era sotto attacco e il suo territorio era stato promesso ad altri: ai bulgari, ai greci, la Russia voleva Costantinopoli e gli Stretti”. Alla fine, la sconfitta in quella “guerra per la sopravvivenza” ebbe un esito positivo, nel senso che l’Impero Ottomano fu sostituito dalla Repubblica turca kemalista: “E siamo diventati un paese indipendente, laico e europeo. Ovviamente, io celebro la Repubblica Turca e non rimpiango l’Impero Ottomano. Ma bisogna capire il contesto di quell’era, differente dalla nostra”. A un secolo dalla guerra in cui si ritrovò gran parte dell’Europa e dell’occidente contro, e dopo le recenti polemiche sulla sua evoluzione con i governi dell’Akp, la Turchia coglie l’occasione per ribadire invece la sua appartenenza a Europa e occidente, in una nuova guerra in cui di occidente e Europa fa da antemurale.

 

Tra la Turchia e la piena riconciliazione con l’Europa e l’occidente, però, resta di mezzo anche il problema di quel che cento anni fa accadde alla minoranza armena dell’Impero Ottomano. Proprio al workshop è stata ribadita l’intenzione della Turchia di raggiungere con l’Armenia una normalizzazione che aiuterebbe quest’ultima a affrancarsi dal suo isolamento geografico di paese di montagna senza sbocchi al mare. Le recenti manifestazioni di piazza anti russe, da qualcuno classificate come un’imminente Maidan armena, potrebbero per molti favorire questo nuovo corso, ripsetto a un passato recente in cui la contrapposizione a Turchia e Azerbaigian ha costretto la nuova Armenia indipendente a un ferreo allineamento con Mosca. “Stiamo cercando di raggiungere una conciliazione con l’Armenia” conferma Altay Cenziger. “Bisogna però che anche loro cambino il loro atteggiamento”. Come hanno riconfermato recenti polemiche, la Turchia ormai ammette la strage degli armeni, ma rifiuta il termine genocidio. “Noi abbiamo proposto agli armeni un comitato storico congiunto  e loro non hanno mai risposto a questa proposta”, risponde Altay Cenziger. “Io spero che forse non immediatamente ma nel lungo periodo ci sarà una riconciliazione. Avverto però: i turchi non riconosceranno mai la definizione di genocidio”.

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