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Nella più grande purga da Tiananmen la Cina rispolvera Mao

Redazione
Oltre duecento avvocati arrestati, confessioni forzate in tv, toni da Rivoluzione culturale. Così Xi Jinping usa la repressione

Roma. Zhou Shifeng ha confessato in televisione i suoi reati. Ha ammesso di avere infranto la legge e danneggiato la stabilità sociale, e davanti alle telecamere ha fatto una confessione umiliante, dolorosa, di quelle che in Cina non hanno mai smesso di essere trasmesse, ma a cui negli ultimi anni erano stati costretti solo i criminali comuni, gli assassini o i grandi corrotti. Zhou Shifeng invece è un avvocato rispettato, l’agenzia di stampa Xinhua ha elencato tra i suoi crimini il fatto di aver rilasciato interviste ai giornalisti occidentali.

 

Da due settimane, mentre l’occidente si preoccupa per la Borsa di Shanghai, in Cina è in corso la più grande operazione di repressione politica dai tempi di piazza Tiananmen. Duecentotrentatré avvocati e attivisti, spesso con le loro famiglie, sono stati arrestati, minacciati, trattenuti nelle caserme, costretti senza nessuna accusa formale agli arresti domiciliari dalle forze di polizia del Partito comunista. A oggi 14 di loro sono ancora in prigione, di sei non si hanno notizie, e tutti gli altri sanno che la polizia può tornare a prenderli da un momento all’altro. I toni e i metodi sono da Rivoluzione culturale maoista, la campagna di fango sui media è durissima. Gli avvocati sono accusati di essere le “mani nere” dietro alle proteste contro il governo, e di avere formato delle “gang” per truffare e ottenere guadagni illeciti. I media poi contribuiscono alla campagna di diffamazione, aggiungendo alle accuse formali particolari sapidi: la tv cinese dice che Zhou Shifeng è un donnaiolo che ha stuprato una dipendente e mantiene sei amanti, l’attivista Wu Gan è stato chiamato “macellaio supervolgare”, ha scritto un libro scandaloso e anche lui ha una relazione illegittima.

 

Le vittime della campagna di repressione sono chiamati genericamente avvocati per i diritti civili, così li definisce anche il New York Times in un lungo articolo pubblicato giovedì, e alcuni di loro, come i membri dello studio legale Fengrui, hanno difeso dissidenti famosi come Ai Weiwei e Ilham Tohti. In realtà molti degli avvocati attaccati dal governo non fanno dissidenza attiva, non partecipano a processi seguiti dai media occidentali, ma hanno costituito un sistema di resistenza insidioso, che cerca di attaccare il regime cinese dall’interno, approfittando del fatto che il governo autoritario ama travestirsi da stato di diritto e ha un sistema giudiziario piegato al volere del regime ma apparentemente funzionante. Gli avvocati detenuti hanno deciso di usare questo simulacro di giustizia per domandare una giustizia vera. Costringono i burocrati a leggi scritte per non essere rispettate, cercano cavilli e scappatoie legali non per rifuggire la legalità, ma per rafforzarla, difendono le aziende dai soprusi dei funzionari di partito e i privati dalle malevolenze del governo. Trovano le falle del sistema e gliele rivoltano contro, e per questo il presidente cinese Xi Jinping ha deciso di applicare un’opera di repressione sistematica come non si vedeva da venticinque anni.

 

[**Video_box_2**]L’anno scorso Xi promise una nuova stagione di riforme per rafforzare lo stato di diritto in Cina, l’obiettivo era dare agli imprenditori delle leggi meno arbitrarie per favorire gli investimenti e la crescita, ma questo diede speranza anche ai riformisti che la certezza del diritto avrebbe democratizzato tutto il sistema. La nuova ondata di repressione politica mostra che è esattamente il contrario. Per gli analisti la purga degli avvocati è un segnale di forza del regime, che sente saldo il potere nelle sue mani e ha scommesso che la reazione internazionale sarebbe stata blanda (è stata assente). Con l’economia in affanno, Xi Jinping sta propiziando in Cina il ritorno di alcuni aspetti del maoismo. La nuova Rivoluzione culturale inizia dagli avvocati?

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