Jeremy Corbyn (foto LaPresse)

La “bolla socialista” avvolge il Labour con una barba di dissenso

Paola Peduzzi
Sono fortunati i laburisti ad avere Jeremy Corbyn, altrimenti sai che noia. Len McCluskey, capo di Unite, il più grande sindacato del Regno Unito, ha spiegato alla Bbc che la candidatura di Corbyn alla leadership del Labour è una gran bella sorpresa.

Milano. Sono fortunati i laburisti ad avere Jeremy Corbyn, altrimenti sai che noia. Len McCluskey, capo di Unite, il più grande sindacato del Regno Unito, ha spiegato alla Bbc che la candidatura di Corbyn alla leadership del Labour è una gran bella sorpresa, c’è “un surge” in corso a favore di questo signore magro con i capelli bianchi e la barba (e la barba non è un dettaglio altrimenti banalissimo: “E’ la mia forma di dissenso”, disse Corbyn una volta), “perché le persone si sentono ispirate” dalla sua figura. L’attuale élite è terrorizzata, dice McCluskey, perché intravvede il pericolo, e così cerca di infamare Corbyn, ma “Unite ha già raccolto 50 mila firme e continuano ad arrivarne, faremo molto meglio di così”: chi pensa che un candidato come lui sia per sua natura “ai margini”, deve stare attento a non ritrovarsi sopraffatto.

 

L’endorsement dei sindacati è arrivato, scontato, nei giorni in cui il governo conservatore di David Cameron ha dichiarato guerra alle trade union, ma questo semmai ha reso Corbyn più forte. Jeremy Corbyn ha sessantasei anni, dal 9 giugno del 1983 è il parlamentare laburista di Islington North, è il fratello di Piers, il proprietario di WeatherAction, un centro di previsioni del tempo che si vanta di saper dire che tempo farà nel luglio del prossimo anno (sì, sappiamo che non è possibile e che non ci interessa nemmeno saperlo, ma il tempo, nel Regno Unito, ha tutto un altro significato), ed è socialista. E’ contro qualsiasi iniziativa privata, vorrebbe le ferrovie nazionalizzate, il salario minimo ai massimi (gli dev’essere venuto un colpo quando i Tory hanno annunciato un salario minimo più alto di quello fissato dal Labour), le tasse ai ricchi e alle corporation e la pace nel mondo (soprattutto la pace dei palestinesi). Corbyn non ha l’automobile, gira solo in bicicletta, è “parsimonioso” per sua stessa ammissione, ma non con le mogli, se ne contano tre, di cui due latinoamericane e l’ultima sposata di nascosto due anni fa – la seconda è stata lasciata perché voleva mandare il figlio alla grammar school e lui non ci pensava proprio. Soprattutto Corbyn è il ribelle per eccellenza, ha vinto dei premi in Parlamento per aver votato più di tutti i suoi compagni di partito contro il volere del Labour: una volta, nel 2002, fu ritrovato sui banchi della Camera dei Comuni un libricino dimenticato da qualche laburista meticoloso che teneva il conto della disciplina di partito, e la bestia nera era definita “Jeremy Cor-Bin Laden”. In questi giorni Corbyn ha parlato degli “amici” di Hamas e di Hezbollah ed è subito scoppiato un caos mediatico incontrollabile: lui si è risentito, ha spiegato che se si vuole fare la pace in medio oriente si deve parlare con tutti, anche con chi non andiamo d’accordo, “amici” era detto per sottolineare la mano tesa.

 

[**Video_box_2**]Il partito laburista è, come ovvio, preoccupato. Come accade in America con la bolla socialista di Bernie Sanders, anche quella di Corbyn ha l’aria di una bolla da noia estiva a temperature troppo elevate, ma alla sinistra inglese basta molto poco per entrare nel panico. Il successore di Ed Miliband si deciderà a settembre inoltrato, i candidati fanno comizi e cercano visibilità sui giornali (anche i non candidati lo fanno, tra l’altro), ma la frattura ideologica dentro al Labour è ancora da curare. Con l’offensiva messa in piedi dal cancelliere dello Scacchiere conservatore, George Osborne, che ruba terreno politico al Labour con una facilità spietata – vedi alla voce salario minimo – la vita laburista si è fatta complicata, la “blairiana” Liz Kendall è definita di destra, mentre la reggente del partito Harriet Harman è costretta a dire di sostenere buona parte delle misure economiche presentate dal governo conservatore, nel famoso budget della “big tent”. I sindacati sono rimasti gli unici a essere in opposizione senza se e senza ma, sono rumorosi, portano tantissimi voti e possono essere decisivi, come già lo furono con Ed. Quanto basta per continuare a disperarsi.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi