La first lady giapponese che illude il Corriere

Giulia Pompili
Sulla prima pagina di ieri del Corriere campeggiava una foto di Akie Abe, la first lady giapponese, corredata da un titolo forte (“La scelta di Akie Abe: voglio dire ciò che penso”) e un editoriale firmato da Dacia Maraini.

Roma. Sulla prima pagina di ieri del Corriere campeggiava una foto di Akie Abe, la first lady giapponese, corredata da un titolo forte (“La scelta di Akie Abe: voglio dire ciò che penso”) e un editoriale firmato da Dacia Maraini. Secondo la scrittrice, figlia del famoso orientalista Fosco, quello di Akie sarebbe stato “uno strappo”, che perfino il traduttore avrebbe riportato con “evidente imbarazzo e sorpresa”. Per la Maraini, infatti, “la moglie di un premier non può pensare per conto proprio e per giunta rivendicare pubblicamente la sua autonomia di pensiero”. Si sarebbe trattato quindi, secondo il Corriere, di una specie di coming out della first lady nipponica, intervenuta sabato a Milano all’incontro di Women for Expo.

 

Ma l’autonomia delle first lady giapponesi non è cosa poi così peregrina (non sono state molte quelle a essere durate più di sei mesi, negli ultimi anni. Miyuki Hatoyama, la first lady che credeva di essere stata rapita dagli alieni, possiamo citarla su tutte). In secondo luogo, nel progetto dell’Amministrazione Abe, “l’opposizione interna” della first lady è cosa ben rodata sul modello americano. Serve a ingentilire il conservatorismo, ma anche a dare un’anima al freddo governo dei numeri dell’Abenomics. Nel corso di questi tre anni al Kantei, Akie Abe è stata la prima a partecipare a un gay pride a Tokyo, ha detto che la riaccensione delle centrali nucleari le dà “un gran patema d'animo”, si è messa dalla parte dei pescatori del Tohoku quando la Dieta voleva costruire un enorme muro anti tsunami.

 

Nel frattempo, però, sostiene il marito andando a pregare al santuario Yasukuni, su Facebook posta foto affettuose di Shinzo in versione casalinga, va a promuovere il Trans-Pacific Partnership in una risaia con l’ambasciatrice americana a Tokyo Caroline Kennedy. Insomma, Akie Abe è una meravigliosa ed elegantissima macchina di consensi. Nel paese più maschilista del mondo, che vuole far tornare le donne a lavorare – e per una mera questione economica – la Womenomics ha bisogno di un brand. E nessun brand finora ha funzionato meglio di Akie, che solo così poteva guadagnarsi la prima pagina del Corriere (non certo per la sua bellissima, ultima iniziativa di salvare 10 mila esemplari di api da miele).

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.