Alexis Tsipras (foto LaPresse)

L'allegra alba dorata delle destre per Tsipras

Claudio Cerasa
Nella grande èra della supernova, dove i colori si fondono, dove gli estremi si sfiorano, dove gli avversari si alleano, dove i nemici dei nemici diventano regolarmente miei amici e dove gli schemi esplodono magnificamente dando vita a nuove costellazioni.

Nella grande èra della supernova, dove i colori si fondono, dove gli estremi si sfiorano, dove gli avversari si alleano, dove i nemici dei nemici diventano regolarmente miei amici e dove gli schemi esplodono magnificamente dando vita a nuove costellazioni, nuove energie e nuove geometrie, accanto alla teoria dei giochi con cui Tsipras e Varoufakis stanno facendo impazzire l’Europa esiste un’altra teoria pazza e suggestiva che non può essere liquidata con una semplice pernacchia e che rappresenta uno schema con cui l’Europa deve fare i conti a prescindere da come finiranno le trattative tra il governo greco e il governo europeo (per Tsipras, ormai, il problema ci sembra evidente: perdere la faccia o perdersi la Grecia?).

 

E’ un’Europa de panza, direbbero a Roma, più che de sostanza, che insegue il consenso a tutti i costi, anche a costo di farsi inseguire dalle risate, ma che rappresenta l’unica risposta possibile per fronteggiare i governi delle grasse e inflessibili coalizioni allargate, i governi di centrodestra e centrosinistra, le strane maggioranze che governano la Germania, l’Italia e l’Europa del Pse alleato con il Ppe, dove la sinistra si fonde con la destra e la destra si fonde con la sinistra, e tutti quei governi che sanno insomma che l’Europa si tiene in piedi se si accetta il principio della cessione di sovranità (vedi i trattati di Maastricht e di Lisbona, vedi le condizioni del Qe) e degli aiuti finanziari che possono essere accordati solo in cambio delle solide riforme strutturali.

 

C’è questa Europa che conosciamo, e che ci piace, e che vive dentro il perimetro del principio di realtà, e c’è poi un’Europa che forse è persino più trasversale della prima dove gli estremi si attraggono gioiosamente in un girone infernale formando una coalizione pazzotica e straordinaria, che mette insieme i colori più vari, il rosso e il nero, il fascio e il martello, gli Tsipras e i Salvini, i Farage e le Le Pen, i Salvini e i Podemos, i Grillini e i CasaPound, i Fassina e gli Alba dorata, i Brunetta e gli Iglesias, e che è il carburante culturale dell’Europa referendaria a vocazione Syriza. E’ la teoria dei due cerchi, o dei due gironi, conseguenza diretta del rimescolamento schumpeteriano prodotto dalla crisi.

 

C’è l’Europa centrale, dove i partiti di governo si attraggono e si uniscono arrivando a mettere i voti in comune, e c’è l’Europa di periferia, dove gli estremi si ritrovano uniti dalla condivisione unica e totalitaria di un principio che può non piacere (a noi non piace) ma che ha una sua dimensione, e che è l’Europa del no, del Grexit, del no euro e dell’uscita d’emergenza a braccetto con Rodotà, Borghezio e Alba dorata come unica alternativa all’Europa dei burocattivi. E’ un’Europa, questa, che aveva messo confusamente il naso fuori di casa già un anno e mezzo fa, durante le elezioni europee, e che dopo sedici mesi di non successi si ritrova qui a soffiare sul vento del cambiamento greco, masticando uno strano impasto formato da marxismo all’amatriciana e nazionalismo all’ascolana, che ha però il merito di mettersi in riga, di mostrare la faccia e di considerare il referendum di domenica prossima come una prova vitale non tanto per l’imprescindibile sovranità del popolo greco ma quanto per la propria precaria esistenza politica e il proprio instabile futuro.

 

[**Video_box_2**]La razionalità e il principio di realtà ci dicono che il secondo girone è destinato a fare la fine che fanno di solito i partiti populisti, che riescono a rimanere in cima nelle scalette dei talk-show solo quando qualcun altro gli offre gentilmente un viagra politico, e che dunque sono fenomeni ficcanti, sì, ma passeggeri, destinati cioè a perdere di consistenza nel momento in cui l’Europa di governo e di potere tornerà a essere sexy (ma quando?). Il referendum di domenica servirà anche a questo, servirà a capire se l’alternativa all’Europa delle coalizioni grasse è all’interno dell’Europa stessa oppure all’esterno di questa Europa. La coalizione rossonera tifa Tsipras anche per questa ragione ma se c’è un elemento gustoso di novità politica è che la pistola referendaria ha avuto il merito di far emergere alla luce del sole non tanto la sinistra no global innamorata della teoria dei giochi di Tsipras e Varoufakis ma quella destra non di sistema e forse non di governo che in mezzo a mille formidabili contraddizioni voterà idealmente no al referendum greco, no alla Merkel e no all’euro. E che si augura forse ancora più di Tsipras che il governo dei compagni greci tenga duro e dia la possibilità al secondo cerchio di mostrare la sua esistenza e certificare così che l’Europa rigida e responsabile delle riforme con il bollino della Bce ha un’alternativa non solo nei talk-show.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.