La situation room con il presidente Obama durante l'operazione che ha portato alla cattura di Bin Laden (fotop LaPresse

Vogliamo Seymour Hersh su Netflix

Redazione
L’intoccabile premio Pulitzer scrive ottima fiction (ma non inchieste)

Domenica è arrivata l’indagine che il giornalista Seymour Hersh prepara da anni sulla vera storia dietro la morte di Osama bin Laden. Anzi, scusate, questo editoriale deve ricominciare daccapo. Domenica è arrivata l’inchiesta del premio Pulitzer Seymour Hersh sulla vera storia dietro la morte di Osama bin Laden. Sempre anteporre il titolo, “premio Pulitzer”, a qualsiasi cosa sia stata scritta o sarà mai scritta da Hersh, anche se il prestigioso premio fu preso nel 1970, quando ancora – tanto per dare un po’ di contesto – mancavano sette anni all’introduzione in Italia della televisione a colori. Non importa. Quel premio conferisce a Hersh una eterna licenza a ignorare le sempre più sbigottite critiche alle sue inchieste.

 

Quella di domenica rientra in pieno nella deriva che il giornalista ha preso da qualche anno: pezzi ambientati in scenari realistici, ma con conclusioni avvincenti e incredibili, come nella migliore tradizione dei serial tv. Puro “Homeland”. Con la chicca dei Navy Seal che smembrano il capo di al Qaida crivellandolo di proiettili, sono costretti a raccogliere i pezzi di cadavere in una body bag di plastica epperò poi ne lanciano un po’ sulle montagne dell’Hindu Kush, mentre volano indietro in elicottero verso la loro base in Afghanistan.

 

[**Video_box_2**]Ieri parecchi giornalisti americani hanno spiegato cosa non torna nell’inchiesta di Hersh, e un punto tra gli altri suona interessante. Perché, se fosse vero quel che sostiene Hersh, ovvero che Bin Laden ormai era prigioniero dei pachistani dal 2006, al Qaida continuava a citarlo come capo supremo? Non si erano accorti della sua sparizione? Erano anche loro complici della trama americana-saudita-pachistana? Wow. Perché il vice, Zawahiri, ha continuato ad agire come se Bin Laden fosse ancora suo capo per anni?  Su questi dettagli Hersh non si sofferma, come in ogni buon film d’azione – in cui bisogna divertirsi e stringere un patto narrativo con il copione. Sospensione d’incredulità, si chiama. Altrimenti se ci si ferma a riflettere troppo si perde il gusto e il ritmo della sceneggiatura. Dopo la puntata sulla Turchia che uccideva centinaia di siriani con il gas a Damasco, quella presa per buona l’anno scorso da Rep. e da Barbara Spinelli, ben venga allora questo nuovo episodio di fiction. In attesa che a giugno arrivi la seconda stagione di “True detective”.

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