Un incontro dello scorso aprile tra il presidente iraniano Hassan Rouhani e quello cinese Xi Jinping, in Indonesia (foto LaPresse)

Dove guarda Teheran

Gianni Castellaneta
Religione, geopolitica e geo-economia. Tutte le partite aperte nei rapporti tra Iran e occidente (con un'attenzione particolare all'Asia). L'Italia di Renzi per ora osserva e non fa nulla.

Poche giorni fa è letteralmente bastata la notizia di un bastimento della Maersk fermato dalla marina iraniana a sprofondare il mondo nell’incubo di una occlusione degli snodi commerciali. A questo pensiero è seguito il timore di una battuta di arresto nel faticoso processo di riavvicinamento di Teheran all’ecumene degli “accettati”.

 

Per quanto il panorama diplomatico degli ultimi tempi abbia innegabilmente cambiato volto e lasci sperare in una distensione complessiva nei rapporti con l’Iran, restano sul tavolo diversi elementi che compongono un puzzle più che mai complesso. Ho avuto la opportunita' di trascorrere alcuni anni da ambasciatore proprio a Teheran, nel periodo delle caute aperture del Presidente Rafsanjani e di una tentazione ad applicare il modello cinese di stato centralizzato e sviluppo liberista e di vedere all’epoca il poderoso meccano del potere mirabilmente descritto da Peter Hopkirk ne Il Grande Gioco e Diavoli stranieri sulla Via della Seta.  Ecco alcuni appunti dal mio taccuino di feluca.

 

Il principale aspetto che balza all’occhio è che non è in gioco solo un riequilibrio nei rapporti tra Occidente e Iran, ma qualcosa di ben più vasto, che abbraccia la sfera religiosa - l’endiadi tra sciiti e sunniti - quella geopolitica - le rotte tra Asia e Eurasia, la contesa per lo spazio del Mediterraneo allargato - e quella eminentemente geo-economica - la riapertura del mercato dell’energia iraniano, intorpidito da decenni di sanzioni. 

 

La sfera religiosa è troppo complessa da liquidare nello spazio angusto ed essenziale di un taccuino. Basti dire che da tempo si osserva il dilatarsi della sfera di influenza sciita, sotto lo sguardo preoccupato del mondo sunnita, specie quello di matrice saudita e turca, e il riaccendersi di antiche passioni che legano intellettualmente pezzi di Europa (Germania in particolare) al sostrato zoroastriano e al simbolismo persiano.

 

Sul quadrante geopolitico, è in atto una violentissima fase di assestamento, con le potenze del Golfo e la Turchia intente a contenere per delega e sottotraccia, ma non troppo, la risorgenza iraniana. Talora il fenomeno lascia spazio a forti paradossi, come nel caso dello Yemen, dove l’Iran sostiene forze che avversa qualche centinaia di chilometri più in là. Non aiutano poi la corsa al riarmo, ripartita in tutta l'area medioorientale, e i recenti cambiamenti dinastici in Arabia Saudita che sembrano acuire la fase di confronto anche al di fuori della penisola Arabica.

 

Allargando il fuoco dell’analisi, non sfugge lo sforzo del Dragone cinese di saldare l’Asia in una gigantesca cintura capace di convogliare traffici tra i due estremi delle nuove Vie della Seta. Questo colossale progetto impone a Pechino di iniettare dosi crescenti di investimenti anche in spazi la cui cifra geopolitica è islamica (come il Pakistan) o russa, e di spingersi con sempre più forza verso il Mediterraneo dove ha già iniziato a proiettare influenza e addirittura prevede di svolgere a metà maggio esercitazioni navali congiunte con la Russia.

 

[**Video_box_2**]Sul quadrante geo-economico, la riapertura dell’Iran fa sì che gradualmente Teheran possa acquisire le capacità tecnologiche per tornare a partecipare da protagonista con il proprio patrimonio energetico al mercato mondiale del petrolio e del gas. Resta peraltro tutto da vedere che Teheran, una volta conclusi con successo i negoziati sul nucleare, accetti di guardare a Occidente. Dopotutto, decenni di embargo economico guidati da Washington e la consapevolezza della dottrina di guerra finanziaria coniata dal “batman finanziario” americano Juan Zarate, hanno inevitabilmente lasciato il segno. E la Cina, che sta pazientemente coinvolgendo la Russia nella costruzione di un ordine finanziario alternativo a quello di Bretton Woods, è vicina. E l’Italia? Pur presente su più tavoli, al momento non ha dato segno di voler imprimere una traiettoria chiara alla sua corsa. Resta tuttavia la speranza che Renzi, liberatosi degli avversari interni ed esterni, possa dedicare un po’ della sua vis riformatrice ad immaginare un politica estera maggiormente assertiva e protagonista - e a dotarsi degli strumenti per la sua realizzazione.

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