Boris Johnson (foto LaPresse)

C'è poco da urlare se hai in casa un infedele che prende voti (cfr Boris Johnson)

Paola Peduzzi
Lo chiamano tutti per nome, anche se spesso non per affetto, anzi, se appena lo nomini finisci in discussioni interminabili sull’abbassamento della qualità della vita a Londra ma a lui e il cognome non serve, basta Boris.

Lo chiamano tutti per nome, anche se spesso non per affetto, anzi, se appena lo nomini finisci in discussioni interminabili sull’abbassamento della qualità della vita a Londra – sarà provincialismo, ma nella capitale britannica si sta alla grande – ma a lui il cognome non serve, basta Boris. Boris Johnson è il sindaco conservatore di Londra, famoso per le sue gaffe, per le sue scappatelle amorose, per i suoi capelli biondi (il taglio oggi è un po’ più ridicolo del solito, dice che è andato da un barbiere turco, così intanto dà una gomitata ai rivali anti immigrazione che vogliono togliere voti ai Tory), per i suoi selfie (“sono uno strumento della vita politica moderna – ha detto al Daily Mail – Una bella cosa. Una grande cosa. Anche se è vero che la maggior parte delle mie conversazioni politiche con la gente non è sui prezzi delle case o sulla criminalità ma: ‘Oh, aspetta, non funziona, è questo che devo schiacciare? Fallo tu, no anzi, lo faccio io’. Ma anche questo crea un rapporto con l’elettorato”), perché vuole tantissimo fare il primo ministro del Regno Unito. Non subito, ma un giorno sì. Così ogni volta che il conservatore più popolare del paese si muove, c’è chi sospira, sarebbe bello avere un premier così, chi si diverte, cioè tutti i giornalisti al seguito, e chi trema, compreso il vero premier, cioè David Cameron. Dopo la faida che ha caratterizzato la vita laburista degli ultimi vent’anni tra Tony Blair e Gordon Brown, i politici inglesi stanno attenti a non creare altri casi assimilabili, il prezzo da pagare, nel fare gli amici-nemici senza mai fermarsi, è sempre molto alto. Ma poi in realtà si procede per faide e per liti, non foss’altro che a dirigere il Labour oggi c’è un fratricida. Boris Johnson si diverte un mondo a fingere armonia all’interno dei Tory e allo stesso tempo giocare il ruolo del più bravo, del più spregiudicato, del più sognato. Dice che insegna ai suoi figli (tutti biondissimi, pare che uno si sia tinto i capelli di nero per prendere le distanze dai geni paterni) le desinenze dei verbi in greco e latino, perché se non sai le lingue classiche non puoi affrontare il mondo, però i suoi fan lo amano perché “è così normale, alla mano”, trattamento che non viene mai riservato ai suoi colleghi conservatori al governo, che non sanno mangiare un hot dog con le mani né scrollarsi di dosso l’immagine di ragazzini viziati di buona famiglia (e Boris è un ragazzone viziato di buona famiglia). Dice di non avere più vestiti decenti, si mette sempre gli stessi, e spesso mostra di essersi infilato due calze di colore diverso, alla mattina al buio è difficile riconoscere un blu da un grigio scuro, e ovviamente è tutto subito perdonato, perché a Boris Johnson da sempre si perdona tutto e quando si avvicina agli elettori e si batte il pugno sul cuore “posso contare sul tuo voto vero?”, nessuno sa dirgli di no.

 

I Tory hanno deciso di tenerlo lontano dalla campagna per 25 giorni, non era nemmeno presente al lancio del manifesto, perché ogni volta che c’è Boris gli altri sembrano scomparire. Poi però come spesso accade quando si vorrebbe tanto stare da soli ma non si riesce a rinunciare a una persona (il fatto che questa persona sia anche generalmente considerato uno stronzo non fa alcuna differenza, anzi), i Tory hanno dovuto chiamare Boris Johnson, dirgli che se iniziava a partecipare a qualche evento elettorale sarebbe stato il benvenuto. Lui ha risposto certo che sì, leale soldato della causa conservatrice, e poi non appena è uscito per le strade ha rubato la scena, senza nemmeno far finta di essere fedele, dicendo che Cameron vincerà ma lasciandosi scappare sempre qualche frase enigmatica sul proprio futuro. Dicono che George Osborne, il cancelliere dello Scacchiere, stia fumando rabbia, la loro rivalità è molto chiacchierata, e soltanto da ultimo, per il voto del 7 maggio, si era finto che fosse risolta. Ma se ti prendi in casa un uomo infedele e popolare, e pensi che basti qualche patto carezzevole per farlo cambiare, poi non puoi piangere, né urlare.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi